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Viaggio breve nel mondo sui metodi anti Covid-19

Come gli Stati hanno deciso di reagire alla pandemia da Covid-19. L'intervento dell'analista Stefano Fait

Sappiamo che il parlamento ungherese ha conferito poteri straordinari a Viktor Orban mentre Trump è diventato un “presidente di guerra” grazie alle disposizioni volute da Obama.

Dal canto suo Bill Gates ha perentoriamente affermato che gli eventi pubblici non saranno possibili fino a quando non avremo una vaccinazione di massa (2021?) e che poi si dovrebbe pensare a certificati digitali per autorizzare gli spostamenti.

Google permetterà ai funzionari della sanità di tutto il mondo di effettuare il monitoraggio dei cittadini per verificare che siano rispettate le distanze.

La Francia usa i droni per scovare chi sgarra.

La Cina non è mai stata così vicina.

Il costituzionalista Hans Jürgen Papier, che ha presieduto la Corte costituzionale federale tedesca tra 2002 e 2010, ha dichiarato che “le misure d’emergenza non giustificano la sospensione delle libertà civili a favore di uno Stato autoritario e di sorveglianza“.

Il suo collega Hans Michael Heinig ha ammonito che “si rischia il passaggio in tempi brevissimi da uno Stato costituzionale democratico a uno Stato igienista isterico-fascista“.

Il virologo argentino-francese di fama internazionale Pablo Goldschmidt consiglia di leggere Hannah Arendt per comprendere le origini del totalitarismo.

Edward Snowden teme che i governi non smantelleranno le misure di controllo e sorveglianza istituite per fronteggiare la crisi.

L’ex giudice della Corte suprema britannica, Jonathan Sumption, intervistato dalla BBC, ha descritto come segue i provvedimenti adottati nel Regno Unito: “Ecco com’è uno stato di polizia. È stata l’opinione pubblica ad esercitare pressioni sui politici. Reclamano interventi e non si fermano a domandarsi se funzioneranno, se ne vale la pena, se i costi non saranno superiori ai benefici. Chiunque abbia studiato la storia riconoscerà i classici sintomi dell’isteria collettiva. L’isteria è contagiosa”.

Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, ci ricorda che “la piena riespansione di tutte le libertà deve essere assicurata appena cessata, anzi appena migliorata, la situazione emergenziale”, che le misure sono necessarie solo “fintanto che non s’inverte il trend della malattia” perché, diversamente, “al rischio sanitario conseguirebbe un nefasto regresso culturale che ci allontanerebbe anni luce dalla prospettiva di libertà e di progresso garantita dalla Costituzione”.

È pertanto evidente che stiamo vivendo uno dei più stupefacenti ed istruttivi esperimenti di ingegneria sociale della storia. Milioni di persone possono toccare con mano le implicazioni, le ramificazioni e i costi di un certo tipo di logica e mentalità incentrate sul controllo sempre più pervasivo, microgestionale, delle relazioni umane.

È in corso un conflitto epocale sulla sovranità personale e sulla libertà spirituale come non si vedeva da generazioni.

Non sono per nulla chiari i presupposti e criteri che guidano la stretta liberticida, tanto che sembra lecito sospettare che in certi casi la pandemia sia diventata un semplice pretesto.

Infatti la stampa americana attacca Trump, dopo averlo accusato per anni di essere un tiranno, perché consente ai vari stati di stabilire che politiche adottare invece di imporne di più aggressive a livello federale. Lui, stizzito, replica: “Abbiamo quella cosa chiamata Costituzione, che mi sta molto a cuore”.

Quegli stessi media però osannano Bill Gates, palesemente più autoritario.

Nel Regno Unito si invita già il governo a predisporre la exit strategy, sebbene gli inglesi abbiano interpretato la quarantena a modo loro.

Paradossalmente Singapore e Hong Kong hanno optato per un irrigidimento (a Hong Kong uffici, centri commerciali e ristoranti restano aperti) proprio quando i contagi erano in costante calo dal 24 marzo, mentre l’aumento dei casi in Giappone ha subito una lieve accelerazione dopo la prima stretta di lockdown molto soft (chiusura delle scuole e interruzione eventi sportivi).

In Italia Renzi chiede un’uscita graduale dalla chiusura generalizzata grosso modo coincidente con quella austriaca (seconda metà di aprile) e un piano ripartenza. Il Veneto studia il piano di graduale riapertura, ma incontra la netta ostilità della CGIL veneta. Calenda chiede che si definiscano le condizioni per la riapertura mentre Salvini invoca addirittura la riapertura delle chiese per la Pasqua, sfidando il pontefice.

Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, si dichiara d’accordo con la riapertura dopo Pasqua al calare dei contagi, nelle ore in cui il capo della protezione civile propone invece un lontanissimo 16 maggio, per poi fare marcia indietro.

Tutto questo, a parere di chi scrive, dimostra che il lockdown universale è diventato più una questione ideologica che tecnica.

Un po’ come i modelli che l’hanno giustificato.

È singolare come tanti catastrofisti che plaudono alle fosche previsioni e radicali proposte di Bill Gates reagiscano alle notizie positive sul contagio in Cina rispondendo che non ci si può fidare dei dati provenienti dalla Cina.

Non si rendono conto che tutti i modelli più pessimisti, quelli che inducono a ricorrere a misure ultra restrittive dei più fondamentali diritti civili, si basano interamente su dati iniziali provenienti dall’Hubei e non dall’intera Cina (o sui dati aggiornati di Wuhan) o, più recentemente, su quelli italiani, come se non esistessero enormi differenze tra Lombardia e Triveneto, o tra Nord e Sud Italia, o tra Italia e resto del mondo.

Tuttavia non tutte le nazioni del mondo sono sottoposte alle medesime restrizioni e quindi è già possibile fare raffronti tra le migliori e le peggiori prassi internazionali e giudicare la validità dei modelli.

C’è naturalmente l’estremo svedese – l’approccio dell’immunità di gregge -, che sembra stia ispirando delle retromarce libertarie in Danimarca e Regno Unito e che potrebbe essere usato da Trump per far ritornare gli USA alla normalità prima di maggio – e che per il momento viene emulato da Arkansas, Iowa, Nebraska, North Dakota, South Carolina, South Dakota, Utah, Wyoming, tre stati federali brasiliani, Bielorussia, Islanda e, virtualmente, da tutte quelle nazioni africane e asiatiche che non sono mai state in grado di far rispettare la quarantena dura, come Nigeria (solo certi distretti), India e Pakistan.

Poi ci sono Australia, Giappone, Turchia, Corea del Sud, Malesia, Vietnam, Olanda e Texas, realtà differenti sotto ogni punto di vista, ma che hanno optato per un lockdown morbido, tendenzialmente senza interdire la normale vita lavorativa, anche se le attività ricreative sono state limitate (approccio della diffusione controllata).

Alla fine l’unico numero che conterà sarà quello dell’eccesso di mortalità rispetto agli anni precedenti (a fine marzo registrato solo in Italia, Spagna, Belgio, Svezia e Regno Unito), ma già adesso le statistiche svedesi, olandesi, coreane e giapponesi sono migliori rispetto a quelle di tanti stati in pieno blocco, sia in termini di numero di casi confermati sia di numero di decessi.

In particolare quelle giapponesi sono straordinarie per un paese raggiunto dal contagio già il 16 gennaio e che ha solamente chiuso scuole e università (ma non gli asili nido, per esempio, e certamente non la metropolitana di Tokyo); il che, come detto, solleva interrogativi sulla necessità del lockdown globale.

È importante monitorare i “non allineati” perché se le loro prestazioni fossero incoraggianti la exit strategy in tante nazioni potrebbe essere intrapresa già prima di maggio, visti i colossali costi socioeconomici.

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