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Vi spiego perché Trump per colpire la Cina silura l’Iran

Il commento di Carlo Pelanda, analista e professore di geopolitica e geoeconomia

 

Molti analisti finanziari chiedono scenari più approfonditi al riguardo del conflitto tra Stati Uniti e Iran e le possibili conseguenze sul ciclo del capitale. La maggior parte di quelli circolati nel recente passato, sviati dal rinvio delle sanzioni a chi commerciava con l’Iran, stimava che l’America avrebbe limitato la pressione per non creare le condizioni di un autolesionista rialzo eccessivo del prezzo del petrolio. Solo una minoranza di osservatori, tra cui chi scrive, avvertiva che Washington avrebbe tentato una proiezione massima di potenza contro l’Iran come occasione per obiettivi strategici più ampi.

Il principale tratto dell’Amministrazione Trump è l’abbandono del «soft power» a favore di quello «hard». L’America non ha più un potere sufficiente per poterlo calibrare in modi morbidi: ormai è troppo piccola in relazione alla Cina e all’Ue e in ogni trattativa con queste deve cedere più di quanto vorrebbe, oltre a lasciar loro uno spazio crescente di influenza per insostenibilità dei costi di presidio imperiale globale. Pertanto può usare solo il potere duro residuo: negazione dell’accesso al proprio ancora rilevante mercato interno e una forza militare superiore.

La pressione contro l’Iran è solo in parte motivata dall’obiettivo di bloccarne l’ambizione di potenza regionale e di confermare la tutela di Arabia e Israele. L’obiettivo principale è creare una tensione quasi bellica in un punto geografico che possa interrompere l’espansione della Cina e che possa essere motivato con scopi di antiterrorismo.

La Cina, infatti, non potrà far altro che continuare a comprare petrolio dall’Iran per non perdere la faccia e ciò darà la scusa a Washington per un presidio aereo-navale del Pacifico, rinforzato dalla convergenza con l’India, con possibilità di poter calibrare frizioni e provocazioni.

Se Pechino risponderà, lasciando che l’Iran per esempio blocchi lo stretto di Hormuz, mostrerà la sua debolezza di fronte alla devastante reazione militare statunitense. Se non lo farà segnalerà una posizione secondaria nel Pacifico, cosa che non dispiacerebbe a Mosca per il riverbero limitativo della strategia cinese nell’Eurasia terrestre.

L’obiettivo dell’America è costringere la Cina a definire dei confini alla propria sfera di influenza tentando di renderla più piccola della propria. Quello della Cina è evitare un confronto con l’America stessa prima di essere pronta ad affrontarlo. Giochi pericolosi, ma è più probabile un tranquillizzante equilibrio reciprocamente dissuasivo e quindi prezzi petroliferi volatili, ma non estremi.

(articolo pubblicato su Italia Oggi)

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