Anche se Netanyahu potrebbe essere tentato ora di alzare il tiro e colpire la Repubblica islamica in modo esiziale, sarà difficile che si realizzi la sua utopia di un nuovo Medio Oriente pacificato e prospero e soprattutto mondato dalla minaccia sciita. Lo dice a Start Magazine Mauro Gilli, ricercatore ed esperto di strategia militare al Politecnico federale di Zurigo, che in questa conversazione entra nel merito dell’accelerazione impressa agli eventi della regione dalle ultime mosse di Tel Aviv e di Teheran.
Si aspettava l’attacco dell’Iran a Israele?
Francamente no, ma comprendo benissimo perché è successo. L’attacco è avvenuto dopo che Israele ha rimosso o comunque gravemente compromesso due elementi chiave della deterrenza dell’Iran, ossia Hamas e Hezbollah, in poche parole il suo arsenale.
Ora Israele promette di rispondere adeguatamente. Ma quali sono gli obiettivi di Tel Aviv evidenziati anche dalle sue mosse clamorose delle ultime settimane?
Come dicevo prima, è abbastanza chiara l’intenzione di Israele di rimuovere del tutto la minaccia rappresentata da due suoi irriducibili avversari come Hamas e Hezbollah. Lo fa anche perché ambedue i gruppi sono parte integrante della strategia dell’Iran almeno dal 2003, l’anno dell’invasione americana dell’Iraq.
Perché proprio in quel momento?
L’Iran in quel momento si rese conto di non disporre di mezzi militari e tecnologici adeguati e si sentiva dunque vulnerabile. Puntò così su questi proxy, che dovevano fungere da suo deterrente. La logica era che se io non posso rispondere davanti a una forza preponderante, allora schiero questo arsenale asimmetrico che serve anzitutto per difendermi e poi per seminare morte e distruzione.
Questo schema ora però è saltato?
Sì, Israele ha ora deciso di spazzare via i proxy dell’Iran, compromettendo così la deterrenza dell’Iran. Una deterrenza che aveva già mostrato i suoi limiti con l’attacco sferrato a Israele il 13 aprile, che si rivelò del tutto inefficace. Ora che viene a mancare il deterrente dei proxy, la domanda che si pone è se Israele vorrà giocare la partita fino in fondo. Questo naturalmente non possiamo dirlo, ma non possiamo escluderlo.
L’Iran non si sente più sicuro a casa sua: dopo l’eliminazione di Nasrallah si è saputo che l’ayatollah Khamenei è stato spostato in un luogo sicuro.
L’Iran non si sente più al sicuro dopo che Israele ad agosto ha eliminato il capo di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran e Nasrallah a Beirut così come dopo l’operazione dei cercapersone, tutti eventi che hanno dimostrato la capacità di Tel Aviv di infiltrare gli apparati della sicurezza. Israele ha dimostrato di essere in grado di monitorare da vicino la posizione di persone che vivono nell’ombra e dovrebbero essere superprotette e che invece vengono colpite addirittura nelle roccaforti del potere iraniano.
Gli eventi di questi giorni si consumano in prossimità del voto americano: quali scenari si aprono per Israele in caso di vittoria di Trump o di Harris?
Questo è difficile dirlo, anche se in generale la politica estera Usa è stata sempre coerente sulle sue posizioni di sostegno a Israele. È però verosimile che con Trump Tel Aviv avrebbe più libertà di manovra. Ed è forte la tentazione di pensare che l’accelerazione di questi giorni si debba al timore invece di una vittoria di Harris, anche se la stessa vicepresidente ha inequivocabilmente affermato di sostenere il diritto di Israele a difendersi.
È solo retorica quella di Netanyahu che anche all’Onu, con tanto di mappe, dice di volere ridisegnare il Medio Oriente?
Penso che con quel messaggio il premier abbia tentato di convincere l’opinione pubblica, soprattutto europea, che Israele sta facendo questo lavoro nell’interesse di tutti. Dubito però che riuscirà a convincerli.
Ma lei ci crede a un nuovo Medio Oriente?
L’esperienza dei conflitti precedenti, dal Vietnam al Libano fino all’Iraq, ci ha insegnato a essere scettici sulla prospettiva di innescare grandi trasformazioni attraverso le spallate. Non è facile del resto cambiare istantaneamente le istituzioni di un Paese, la sua cultura politica, i sistemi valoriali delle persone e tante altre variabili molto complesse.