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Come sarà il Libano senza Nasrallah

Presente e futuro anche economico del Libano dopo l'uccisione di Nasrallah. L'approfondimento di Riccardo Cristiano tratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri

 

Stando alla BBC, l’attacco missilistico contro il bunker del comando generale di Hezbollah avrebbe causato 492 vittime, oltre ai feriti. L’esercito israeliano ha annunciato l’uccisione, tra gli altri, del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

Ci vorrà tempo per capire tutto le conseguenze di quanto accaduto a Beirut ed è difficile non prendere in considerazione anche lo scenario della dissoluzione dello Stato unitario libanese.

La sola notizia che dà ai libanesi un minimo di speranza è che l’esercito è stato dispiegato in tutto il Libano, assicurando che le ondate di paura non sconvolgano troppo un Paese economicamente già devastato e ora smarrito, terrorizzato. Quel poco che resta dello Stato libanese, cioè l’esercito, ha battuto un colpo.

Per cercare di fare ordine senza cedere alle emozioni, ma senza perdere consapevolezza e umanità, converrà seguire tre direttrici: come il Libano è arrivato a questo punto, quali sono le sfide interne che affronterà nell’immediato e quale Paese esso possa diventare. Non è possibile affrontare contemporaneamente anche le scelte e i problemi degli altri soggetti coinvolti.

IL RUOLO DI HEZBOLLAH

Hezbollah è uno dei frutti avvelenati della catena di errori ben noti che hanno favorito la vittoria khomeinista in Iran. Infatti, è nata subito dopo la rivoluzione, all’inizio degli anni Ottanta come testa di ponte del regime khomeinista iraniano sul capo opposto del territorio che Teheran intendeva controllare politicamente, economicamente e militarmente , cioè come l’Unione Sovietica fece nell’Europa dell’Est con i “regimi fratelli”: si tratta della vasta area che comprende Iraq, Siria e Libano, estesi successivamente allo Yemen, decisivo alleato per il controllo che garantisce il controllo dell’accesso al Mar Rosso.

IL RUOLO DELL’IRAN

In questo modo l’Iran avrebbe esportato la sua rivoluzione in Paesi che sono stati sedi degli antichi califfati islamici, la Siria e l’Iraq, e si sarebbe garantito con Beirut il terminale marittimo per realizzare, un domani, l’agognata pipe line per esportare il suo petrolio in Europa.

HEZBOLLAH, IL BRACCIO OPERATIVO DELL’IRAN

Hezbollah è diventata nel corso degli anni il braccio operativo dell’Iran in tutti i conflitti mediorientali e quando, molti anni fa, l’espulsione da parte di Israele decine di leader di Hamas nel sud del Libano gli ha consentito di stabilire rapporti diretti con questa organizzazione, di diverso orientamento confessionale, si sono create le condizioni per dare all’Iran una prospettiva solida per intestarsi la causa palestinese.

PESO E SUCCESSI DI HEZBOLLAH

L’efficienza di Hezbollah ha infatti sfidato le leadership arabe, di diverso orientamento confessionale, accusate esplicitamente di essere inette e corrotte, e questo ha creato sintonia con vasti settori delle opinioni pubbliche.

Ma l’enorme successo di Hezbollah l’ha trasformata in una holding del crimine, con addentellati in tutti quei mondi, soprattutto del narcotraffico, del riciclaggio, del traffico d’armi.

SOLDI E CORRUZIONE

Ma i soldi portano spesso corruzione e proprio la corruzione sembra poter aver perso Hezbollah, aprendo le porte ad ambienti e interlocutori incontrollabili che hanno facilitato la crisi della sua intelligence, che è risultata permeabile alle infiltrazioni nemiche, come gli eventi recenti dimostrano.

Il 7 ottobre dello scorso anno, il pogrom di Hamas e la reazione israeliana sono diventati per Hezbollah l’occasione per impossessarsi della questione palestinese e assestare un colpo forte alle “monarchie corrotte del Golfo”.

LA GUERRA DI SOSTEGNO A GAZA

Hezbollah infatti ha iniziato subito dopo il 7 ottobre una sedicente “guerra di sostegno” a Gaza, che ha costretto Israele a richiamare la popolazione dai villaggi più settentrionali, circa 70mila persone, impossibilitate a vivere in sicurezza nei loro luoghi di residenza. L’intenzione era arrivare a un cessate il fuoco con Israele che seguisse quello di Gaza, per rivendicare di aver fermato il nemico e incrementare il proprio prestigio.

Questo serviva soprattutto contro i petromonarchi del Golfo, che perseguivano la strada inversa, l’accordo con Israele  e, la creazione di uno stato palestinese accanto a Israele. Uno sviluppo che avrebbe ridotto il peso regionale dell’Iran.

La guerra d’attrito aveva un valore strategico, ma non ha modificato i piani di Israele a Gaza, ha piuttosto determinato la distruzione del sud del Libano e la fuga, prima dei recenti sviluppi, di 110mila libanesi, profughi in patria senza alcun sostegno da un Paese economicamente distrutto da anni di malgoverno.

Il sangue libanese non conta, ma il primo ad asserirlo nei fatti è stato Hezbollah. La ferita dei 75mila israeliani evacuati ha invece rafforzato le posizioni più ferme contro Hezbollah in un Paese mutato dal 7 ottobre. Poi la corruzione interna potrebbe aver prodotto il suo contraccolpo devastante.

LE SFIDE PER IL LIBANO

E’ evidente che il Libano rischi l’implosione e già si possono vedere alcuni possibili epicentri della nuova emergenza che comunque si apre. Uno di questi epicentri riguarda  la sola via di fuga terrestre dal Paese, la Siria.

Già venerdì mattina, prima del colpo contro il quartier generale di Hezbollah,  erano molti  i fuggiaschi dal Libano verso un Paese dove nessuno andrebbe se non per disperazione.

Ritrovarsi in un Libano già disperato per la sua travolgente crisi economica, e ora devastato dai bombardamenti in alcune sue aree e certamente nel panico per i possibili sviluppi, rende questa scelta estrema comprensibile.

Nei tre giorni passati si parla di 30mila fuggiaschi, l’80 per cento siriani e il 20 per cento libanesi, secondo quanto reso noto il 27 settembre dall’Unhcr.

I RIFUGIATI IN LIBANO

Il Libano  ha aperto le sue frontiere con la Siria: chiunque volesse fuggire poteva farlo senza problemi, anche chi dalla Siria fosse entrato illegalmente in Libano. Si tratta di una scelta coerente con il noto desiderio libanese di liberarsi dei profughi siriani, con un piano per l’espulsione di 30 mila di loro che secondo l’agenzia di stampa libanese verrà definito nelle prossime settimane.

Dunque tutti i siriani che si sono rifugiati in Libano, non solo di quelli registrati, anche i clandestini, vecchi e nuovi, possono rientrare in Siria.

Il loro numero in Libano è enorme, si considera che tra ufficiali e clandestini sarebbero quasi due milioni.

SIRIA, LIBANO E I RIFUGIATI

Il problema è che i libanesi possono entrare senza problemi, i siriani devono fare file interminabili perché per tornare nel loro Paese devono pagare in frontiera cento dollari a testa. E molte famiglie numerose non dispongono di questa  cifra. Passeranno il confine? Se la Siria insisterà a non volerli accogliere in sicurezza come e chi li gestirà?

Ecco che si staglia la migrazione via mare, già attivata dagli scafisti con autorevolissime coperture (di questo ha dato conto recentemente l’Ansa). I barconi già ci sono, li producono in Siria e oltre ai profughi siriani già si vedono a bordo anche libanesi.

Questo fenomeno è destinato a emergere e rafforzarsi considerate anche le condizioni in cui il Libano versa da anni. E l’evanescente Stato libanese non lo avverserà, forse lo faciliterà.

LA REALTA’ ECONOMICA DEL LIBANO

Per capire perché basta considerare la realtà economica del Libano con l’aggiunta del suo carico di profughi siriani.

Quella in cui versa da anni è una crisi economica tra le più gravi al mondo che in pochi anni ha visto la valuta nazionale perdere ogni valore: 1500 lire libanesi valevano un dollaro nel 2019, come è sempre stato dal 1991, ora per acquistare un dollaro occorrono circa 100mila lire libanesi. E si può scommettere che nelle prossime ore il cambio peggiorerà, sensibilmente.

Inoltre le attuali disposizioni bancarie impediscono ai libanesi di riceve rimesse in valuta pregiata dall’estero.

L’andamento dell’inflazione in Libano – fonte: FRED

Un’altra emergenza immaginabile se non già in atto è quella delle aree cristiane attigue a quelle sciite, da dove la fuga è massiccia perché si tratta di quelle bombardate.

I rapporti comunitari nel passato hanno retto ma ora i timori ci sono e sono principalmente di due tipi, il più grave è questo; se tra i profughi sciiti ci fossero leader o esponenti di rilievo di Hezbollah questo potrebbe causare bombardamenti anche di questi territori. Il timore è già espresso su molti siti libanesi e  non può che aggravare la situazione. Il rischio è quello di uno scontro tra comunità.

LA QUESTIONE DEMOGRAFICA

C’è infatti la costante paura di un afflusso anche interno che da provvisorio divenga stabile e quindi capace di modificare la demografia confessionale, questione molto temuta dalle comunità cristiane montane, spesso chiuse, timorose e a volte non in buoni rapporti con quelle vicine proprio per dispute territoriali. Inoltre la comunità sciita è in crescita in termini numerici, mentre quella cristiana si assottiglia. Basterà l’esercito a tenere tutto sotto controllo?

Ma molte altre emergenze sono alle viste, a cominciare dal contenimento dei sussulti interni alla grande città di Beirut.

Qui i bombardamenti sono stati violentissimi sull’area meridionale della città, dove si trovano i quartieri sciiti dove si situa il quartier generale di Hezbollah bombardato e tutte le residenze dei capi del partito e del suo braccio miliziano.

LA GESTIONE NASRALLAH

Il leader di Hezbollah appena ucciso da Israele, Hassan Nasrallah, e con lui il partito, gestivano anche un sistema parallelo di assistenza, ovviamente molto discusso e oggettivamente discutibile, ma comunque rassicurante per parte di questa popolazione.

Se molti si trovassero a temere che questo venga meno, mantenere l’ordine in città sarebbe un lavoro complicato più di quello di mantenerlo nei piccoli centri. I tumulti in corso indicano che il rischio c’è.

QUAL E’ IL FUTURO DEL LIBANO

Per cercare di farsi un’idea di cosa diventerà, bisogna ricordarsi di cosa è stato il Libano. E’ stata la casa della libertà araba e arabista. In anni lontani, diciamo fino agli Settanta, il Libano è stato il rifugio di dissidenti, non solo arabi.

C’era un famoso ristoratore fuggito sin lì dall’Unione Sovietica. Grazie a un rapporto aperto con la religione, determinato soprattutto dal suo grande secolo, l’Ottocento, il Libano ha visto insieme islam e libertà democratiche in un tessuto multiconfessionale e cosmopolita, e grazie a quanto avviato soprattutto dai missionari,  protestanti e cattolici, è diventato la casa araba dell’istruzione.

Chi voleva studiare da tutto il mondo arabo andava lì, nei suoi licei, nelle sue università.

Mai amato dai nazionalisti, il Libano ha ha avviato il superamento dell’ideologia  della sola nazione araba, proponendo la Lega Araba, qualcosa di simile all’odierna Unione europea, un’unione tra stati sovrani ma imparentati da una cultura comune.

Il successo economico non si fece attendere, la Banca del Libano faceva prestiti in valuta nazionale all’India e vantava la quarta compagnia aerea nel mondo.

I guai cominciarono nel giorno in cui il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, dopo la sconfitta araba del 1967, al vertice di Khartoum favorì il trasferimento dei feddayn (“combattenti della resistenza”) palestinesi in Libano.

Il difficile e precario equilibrio tra comunità confessionali diverse fece temere che si alterassero i loro equilibri, inoltre arrivarono le armi e il Paese entrò in una devastante guerra civile, nella quale ognuno ebbe i suoi torti.

Oggi però va segnalato tra questi quello poco citato che va attribuito a gruppi cristiani: l’aver dichiarato guerra al centro di Beirut quale città promiscua, anche urbanisticamente. Il loro modello era Berlino, viali lunghi e ben distesi: Beirut doveva “uscire” dal Medio Oriente, non restare una città araba, europeizzata, moderna, mediterranea.

La guerra civile durò 15 anni, dal 1975 al 1990, e ci volle un gigante, anche discutibile,  come il primo ministro Rafiq Hariri per rifare il centro cittadino, il vero spazio comune completamente devastato dalle opposte milizie.

Il tributo funebre a Rafiq Hariri, morto nel 2005- fonte Wikipedia

Quando nel 2005, come accertato dal Tribunale Internazionale, operativi di Hezbollah lo uccisero, il Libano ha cominciato una lenta, nuova agonia. Quel delitto rimane come il punto di rottura tra Hezbollah e il Libano come Stato, che la milizia khomeinista ha svuotato con un’impressionante scia di omicidi, e molti complici. I dettagli non servono, ma così si capisce perché il Libano può rischiare la disintegrazione.

Quando se ne parlava come della Svizzera del Medio Oriente, non si pensava in realtà alle sue belle verdeggianti colline, alle sue vette innevate, ma ad una cantonalizzazione confessionale, il rischio di domani.

Molti cristiani già lo pongono apertamente, in una sorta di riflusso tribale e di rifiuto della loro storia, che è stata alla base della nascita del Paese, cosmopolita per scelta e anche per vocazione. Una deriva di questo tipo è possibile e sarebbe un colpo gravissimo per la speranza di crescita  interna alle società arabe, al di là della dimensione tribale.

Certo, anche l’affievolirsi del potere totalitario di Hezbollah serve al Libano cosmopolita.

Ma la disintegrazione del decisivo blocco sunnita che era stato ammodernato da Hariri e potrebbe facilitare esiti infausti.Così alcune voci avverse a Hezbollah da Beirut fanno notare che  appare assai poco probabile che il Partito di Dio possa essere sradicato e sostituito da un soggetto pluralista.

Dunque è la storia che ci indica la via.

14 febbraio, giorno di San Valentino, anno 2005. Una terribile esplosione devasta il centro di Beirut: un enorme cratere rende impercorribile il lungo mare della capitale libanese. Solo nel 2020 il Tribunale Internazionale stabilirà che operativi di Hezbollah hanno fatto saltare in aria la vettura che riportava a casa dal Parlamento libanese l’ex premier, musulmano sunnita, Rafiq Hariri, l’uomo che aveva ricostruito il devastato centro cittadino di Beirut, con le 22 persone che viaggiavano con lui.

Il 14 marzo un milione di libanesi scendono in piazza per ricordare il premier assassinato e chiedere il ritiro dal Paese delle forze d’occupazione siriane, alleate e presunte mandanti del crimine eseguito da Hezbollah.

Il 7 maggio dello stesso anno viene ucciso per strada lo scrittore, cristiano, Samir Kassir.

Il 21 giugno viene assassinato l’ex segretario del Partito Comunista, Georges Hawi.

Il 12 dicembre viene assassinato lo scrittore, cristiano, Gebran Tuéni.

Il 21 novembre 2006 viene assassinato il ministro, cristiano, Pierre Gemayel.

Il 1° dicembre 2006 Hezbollah pone l’assedio al palazzo del primo ministro per imporne le dimissioni.

Tutti in Libano sanno che la carta d’identità di Hezbollah è questa, corredata dall’esplosione del porto di Beirut il 4 agosto 2020.

Questo è il progetto totalitario dal quale il Libano deve liberarsi, ma trovando il modo e la forza di non escludere dal suo alveo la componente sciita, indispensabile ad evitare derive settarie.

Per riuscirci occorre un sussulto di dignità della classe dirigente nazionale, l’immediata formazione di un governo di unità nazionale che non imponga capitolazioni culturali ma il rispetto dello Stato e delle libertà proprie e altrui.

Il progetto inammissibile non è religioso, ma eretico, e ognuno ha le sue eresie, anche l’identitarismo e il settarismo.

Se la scadente classe dirigente libanese ci riuscirà potrà rifondare il suo Paese, altrimenti seguiterà a portarla in tunnel bui. La speranza può esserci.

 

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