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Turingia

Le ragioni economiche del terremoto elettorale in Turingia. L’analisi di Mennitti

Dopo Sassonia e Brandeburgo, è toccato alla Turingia, una sorta di Umbria tedesca, cuore verde e storico al centro della Germania, lanciare un segnale di insoddisfazione verso Berlino. L’articolo di Pierluigi Mennitti

Una lunga fase di vuoto politico è proprio quello che il mondo economico temeva prima del voto in Turingia. Ed è proprio quello che accadrà, alla luce dei risultati emersi. Il presidente uscente, cui una norma regionale consente di restare in carica per gli affari correnti senza interruzione fino a quando verrà trovata una nuova maggioranza, dovrà fare fondo a tutta la sua arte diplomatica per tirare dal cilindro la soluzione politica giusta. A Bodo Ramelow, esponente della Linke sui generis, pragmatico e realista, con una formazione politica maturata nel sindacato, le capacità non mancano. E lo spauracchio della destra di Afd può giocare a suo favore, ammorbidendo ex avversari irriducibili come i cristiano-democratici, oggi divenuti possibilisti sull’ipotesi di tollerare un governo di minoranza da lui guidato.

UNA REGIONE CENTRALE MICROCOSMO DELLE CONTRADDIZIONI DELL’EST

Ma l’impasse c’è e non è una buona cosa per l’economia di questo piccolo ma centrale Land della Germania: un microcosmo di 2 milioni di abitanti che concentra le contraddizioni dello sviluppo che l’intera ex Ddr ha vissuto nei trent’anni seguiti alla caduta del Muro e le cui sfide economiche e sociali sono però oggi le stesse dell’intera Germania.

Da un lato vaste aree rurali nelle quali gli agricoltori giocano in difesa, spaventati dalla prospettiva di politiche ambientaliste di cui non vedono vantaggi ma solo costi aggiuntivi per le loro aziende. non è un caso che Erfurt, il capoluogo della Turingia, sia stato uno dei centri delle proteste dei trattori svoltesi una settimana fa in tutta la Germania. Dall’altro una serie di piccole imprese in grande maggioranza familiari, dedicate a monoproduzioni, spesso di componenti per le grandi case automobilistiche. Disegnano una struttura molecolare dell’imprenditoria regionale, il 90% delle aziende della Turingia ha una media di 20 occupati. E oggi soffrono la crisi che sta rivoluzionando il settore dell’automotive. Come corollario pochi grandi stabilimenti, spesso succursali di colossi dell’Ovest, concentrati nelle aree urbane di Erfurt e Jena e un solo grande centro tecnologico, motore di innovazione e ricerca, la Carl Zeiss Meditec di Jena. Sullo sfondo, il primo grande problema della Turingia, ma anche di quasi tutti i Länder orientali (e anche di molti paesi dell’ex blocco sovietico dell’Europa centro-orientale): l’invecchiamento demografico, dovuto al combinato di poche nascite, conseguenze della grande emigrazione degli anni Novanta e scarsa capacità di attirare giovani dal resto della Germania e dall’estero. Alla scarsità di giovani si aggiunge il paradosso politico che quelli che ci sono votano in massa per la destra nazionalista di Afd, primo partito in tutte le fasce di elettori sotto i 60 anni.

CRESCITA E OCCUPAZIONE MA LE CIFRE (TALVOLTA) INGANNANO

I dati economici della Turingia forniti dagli istituti statistici rivelano un quadro tutt’altro che fosco, che ne nasconde alcune contraddizioni ma ne esalta anche le potenzialità. Negli ultimi cinque anni la regione ha partecipato alla crescita nazionale, segnando un +9,5% di Pil contro il +10% dell’intera Germania. I salari restano fra i più bassi del paese: con una media di 29.676 euro lordi annui per lavoratore la Turingia occupa il terz’ultimo posto (al primo c’è Amburgo con 41.7000), ma la dinamica degli aumenti è fra le più sostenute, i salari sono cresciuti del 18,8% negli ultimi 5 anni, secondo posto assieme a Berlino. E i tempi della disoccupazione a due cifre sono un lontano ricordo: ancora 13 anni fa era al 18%, oggi è scesa al 5. Tuttavia, se si guarda al numero degli occupati ci si accorge che esso è rimasto pressoché stabile dal 2013, 1,05 milioni. Il che significa che il calo della disoccupazione, più che a un incremento del lavoro, è da ricercarsi nel rapido invecchiamento demografico: negli ultimi sei anni sono state più le persone che sono uscite dal mercato per ragioni di età di quante ne siano entrate.

L’ONDA LUNGA DELLO SPOPOLAMENTO DEGLI ANNI NOVANTA

Il fenomeno dello spopolamento del primo decennio della riunificazione proietta sino a oggi i suoi effetti negativi. Un terzo degli abitanti, il 33,2% è oltre i 60 anni, solo la Sassonia-Anhalt ha una popolazione più anziana (34%), ma la media inganna e nasconde drammatiche differenze all’interno di un territorio così piccolo. Se gli ultra 60enni rappresentano solo il 26,% degli abitanti di Jena, sede della Carl Zeiss e di una delle più innovative università tedesche, nel vecchio centro industriale di Suhl, famoso per la produzione di armi, raggiungono il 40% su una popolazione che si è quasi dimezzata dalla fine della Ddr. Dal 1989 la Turingia ha visto fuggire quasi mezzo milione di abitanti, oltre il 17%, in prevalenza giovani e donne alla ricerca di migliori condizioni di vita e lavoro. E ancora negli ultimi 5 anni la popolazione è diminuita di 20 mila unità, mentre altre regioni orientali sono riuscite seppur lievemente a invertire la tendenza.

POCA INNOVAZIONE NONOSTANTE L’ECCELLENZA DI JENA

Le conseguenze di questa struttura demografica si avvertono anche nell’economia locale, dove un milione di occupati convive con 660 mila pensionati. Secondo uno studio dell’istituto di credito pubblico KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau), la Turingia è il fanalino di coda per la nascita di startup e le sue industrie offrono al pur non esaltante paniere nazionale dell’innovazione solo l’1% dei brevetti in tecnologie digitali. E questo nonostante la presenza della Carl Zeiss a Jena, a un tempo eccellenza ed eccezione dell’industria della Turingia, capace di fornire un terzo di tutti i brevetti innovativi sfornati a Est e di posizionarsi all’ottavo posto fra i primi dieci siti dell’innovazione in Germania, in una classifica dominata da località bavaresi e del Baden-Württenberg con l’inclusione di Wolfsburg (grazie a Volkswagen).

Grandi preoccupazioni accompagnano le trasformazioni dell’industria automobilistica, presente in maniera massiccia in Turingia. Negli stabilimenti della regione si producono i motori per Daimler e Rolls Royce, componentistica per i veicoli di vari marchi, i sensori hi-tech di Bosch. Ora gli industriali si chiedono quali effetti avrà la rivoluzione dell’automotive, mentre stime di settore prevedono che il 20% dei posti di lavoro andranno perduti a seguito dei processi di digitalizzazione e automazione. E le sanzioni alla Russia per la crisi ucraina fanno sempre sentire il loro peso sulle piccole imprese regionali, tradizionalmente votate ai commerci con Mosca.

IL NODO INSOLUBILE DELLA CARENZA DI FORZA LAVORO

Ma sul piano generale la carenza di manodopera qualificate resta il nodo centrale dei prossimi anni. la demografia è più forte dell’economia e a sua volta la determina. Secondo una ricerca dell’associazione degli industriali nel 2030 mancheranno alla Turingia quasi 344.000 lavoratori, un buco che minaccia di pregiudicare la crescita economica. La sfida è attirare nuova popolazione, possibilmente giovane, da fuori: dal resto della Germania, dagli altri paesi dell’Unione Europea e anche dal resto del mondo. Per questo gli imprenditori avevano lanciato un appello a non votare la destra nazionalista di Afd, in Turingia guidata dal più radicale dei suoi esponenti, Björn Höcke. Gli elettori non li hanno ascoltati, soprattutto i tanto ricercati giovani.

 

 

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