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Germania, che cosa (non) cambia dopo le elezioni in Sassonia e Brandeburgo

In Sassonia e Brandeburgo saranno necessarie nuove coalizioni, perché il trionfo di Afd rende impossibili le prosecuzioni di quelli uscenti. Il primo banco di prova per i due nuovi governi regionali sarà la strategia di uscita dal carbone. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti

 

Tutto come previsto nelle elezioni nei due Länder dell’est tedesco, Sassonia e Brandeburgo. I due partiti di massa storici e partner nella Grosse Koalition di Berlino (Cdu e Spd) perdono voti, mentre l’ascesa dei nazionalisti di Afd si consolida con nuovi record, oltre il 27% in Sassonia (+17,5%) e oltre il 22% in Brandeburgo (+10,5%), seconda forza politica nelle regioni orientali. Ma, nonostante la sconfitta, la Cdu resiste a Dresda e l’Spd a Potsdam e giocheranno con il pallino in mano la partita dei nuovi governi regionali. I Verdi continuano a crescere ma senza la spinta delle elezioni più recenti, l’Est resta un campo di battaglia difficile per le proposte ecologiste: ma il loro tesoretto servirà a formare i due governi, i Grünen sono divenuti talmente pragmatici da potersi adattare a maggioranze di diversi colori. La polarizzazione dell’elettorato e la suggestione di Afd spingono in alto la partecipazione al voto proprio in quelle regioni dell’Est dove per anni aveva dominato il disincanto: rispetto a cinque anni fa, +16% in Sassonia, +11% in Brandeburgo.

Il terremoto elettorale di Afd si ferma alle porte di Berlino

L’affidabilità dei sondaggi pre-elettorali è divenuta tale da rendere quasi noioso il momento delle prime proiezioni e creare nell’arena politica una sorta di effetto borsa: gli shock sono vissuti e digeriti in anticipo e quando lo spoglio reale conferma le previsioni dei sondaggi, partiti e commentatori hanno già preso le misure e scontato i contraccolpi. Così, fa sapere il primo canale Ard, da Berlino si tira un “prudente respiro di sollievo”, perché il vero terremoto ci sarebbe potuto essere solo qualora i nazionalisti fossero arrivati al primo posto: il dato non avrebbe influito sulla formazione dei due governi regionali, giacché Afd gode dell’ostracismo di tutti gli altri partiti, ma l’impatto emotivo sarebbe stato difficilmente contenibile. E dunque, contraddicendo l’artificiale sensazionalismo mediatico, secondo il quale l’avanzata di Afd in Sassonia e Brandeburgo avrebbe travolto il governo nazionale, a Berlino non accadrà nulla. I due partiti storici continueranno a interrogarsi sulle capacità di leadership dei loro presidenti presenti (Annegret Kramp-Karrenbauer, Cdu) e futuri (Olaf Scholz, Spd), mentre il governo proseguirà la sua trazione lenta, nel segno del tramonto merkeliano, cercando di parare giorno per giorno i colpi di un’economia in rallentamento.

Ma la questione del rapporto con i nazional-populisti resta aperta

Tuttavia, la questione Afd si impone ormai nell’agenda politica. Quello che poteva essere un fenomeno di protesta temporaneo si va invece consolidando come un elemento politico duraturo, non più legato all’emergenza migratoria, ormai in Germania molto ridimensionata. Se la sua influenza può ancora essere contenuta a livello nazionale e arginata nella formazione dei governi regionali e comunali, la presenza ormai massiccia nelle assemblee locali impone un cambio di registro a tutti i partiti. Nei Länder dell’Est i nazionalisti sono un vero partito di massa, godono del consenso di quasi un terzo dei votanti e anche in Turingia, fra un mese e mezzo, il risultato non sarà troppo diverso. Afd è il partito che meglio di tutti riesce a motivare l’area del non voto ed è a esso che si deve la robusta ripresa dell’affluenza alle urne. Interpreta il disagio se non l’avversione di un pezzo non piccolo del Paese, ha sostituito gli ex comunisti della Linke nel rappresentare la rabbia di quei tedeschi che non vogliono andare dove i governi li stanno portando.

Finora nei suoi confronti ha prevalso un totale ostracismo. Il mondo imprenditoriale teme l’immagine negativa che i successi di Afd proiettano all’estero sull’intera Germania e le sue eventuali politiche protezionistiche. Le forze di sinistra (Spd, Verdi e Linke) ne hanno un’avversione ideologica. Quelle conservatrici, Cdu e Csu, ne temono soprattutto la concorrenza elettorale e in effetti Afd sta erodendo al fianco il corpaccione dell’Unione come Linke e Verdi hanno fatto con i socialdemocratici. Lo spettro dell’Spd è l’incubo che agita le notti dei cristiano-democratici. La strategia della Cdu è quindi di scoraggiare e minare ogni esperimento europeo in cui forze nazional-populiste partecipino al governo: non è stata nascosta la soddisfazione per la caduta dei governi in Austria con l’Fpö e in Italia con la Lega, alleati europei di Afd. I timidi approcci tentati dalla leader nazionalista Alice Weidel dopo il voto in Sassonia (“Il 60% degli elettori ha votato per partiti conservatori”) potrebbe aprire qualche tentazione, o almeno qualche dibattito, non tanto nella classe dirigente nazionale della Cdu, quanto in qualche federazione locale.

La Germania Est, inquieta dopo trent’anni di riunificazione

E poi rimane l’Est, con le sue facce contraddittorie, le sue eccellenze che non fanno sistema, la popolazione che invecchia, il lavoro che c’è ma viene da fuori, la mancanza di manodopera qualificata che rischia di pregiudicare la crescita, l’assenza della generazione di mezzo andata via dopo la riunificazione e mai più ritornata, la paura degli immigrati che rende difficile le campagne delle imprese per attirare dall’estero forze nuove. I Länder dell’Est avrebbero bisogno di un’iniezione di fiducia e invece celebreranno il trentennale della caduta del Muro in una bolla di risentimento che solo Afd riesce a capire e sfruttare. A oriente dell’Elba si è consolidato il sentimento di non essere mai stati davvero padroni del proprio destino, né quando all’indomani della riunificazione i funzionari venuti da Bonn smantellavano i rottami dell’industria di Stato fuori mercato assieme a qualche fabbrica che avrebbe potuto dire la sua anche nel nuovo sistema economico, né quando si è assistito impotenti alla fuga dei giovani negli anni Novanta, né più tardi quando Angela Merkel decretò la politica delle porte aperte ai migranti senza avere un piano condiviso per gestirla. Così nel risentimento generale sono stati ingoiati anche i tanti, evidenti, passi avanti compiuti.

I nuovi governi in Sassonia e Brandeburgo e l’addio al carbone della Lausitz

In Sassonia e Brandeburgo saranno comunque necessarie nuove coalizioni, perché il trionfo di Afd rende impossibili le prosecuzioni di quelli uscenti. A Dresda la Cdu può allargare ai Verdi la Grande Coalizione con l’Spd o tentare l’azzardo di una maggioranza solo con gli ecologisti, che avrebbe un vantaggio di un solo voto. A Potsdam è probabile il coinvolgimento dei Verdi nell’alleanza Spd-Linke, uno schema che replicherebbe la coalizione che governa la confinante capitale Berlino.

Il primo banco di prova per i due nuovi governi regionali sarà un tema comune: la strategia di uscita dal carbone che coinvolge una regione a cavallo fra i due Länder, la Lausitz (in italiano Lusatia), area mineraria che fonda la sua ricchezza e la sua identità sull’estrazione del carbone. La politica energetica e ambientale del governo ha portato a decidere per il 2038 la chiusura degli stabilimenti. Qualche giorno prima del voto, l’esecutivo ha varato un pacchetto di aiuti da 40 miliardi di euro per accompagnare il processo di riconversione. Le nuove alleanze si formeranno anche attorno alle strategie e agli interessi su come impegnare quei soldi, con i Verdi, necessari a tutte e due le coalizioni, che intendono anche ridiscutere un eventuale anticipazione dell’anno di chiusura.

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