L’autocritica pronunciata il 24 marzo dalla cancelliera tedesca Angela Merkel nel revocare la decisione, presa appena due giorni prima, di imporre al Paese cinque giorni di draconiana chiusura intorno a Pasqua è stato un gesto clamoroso, inaspettato. Ma l’errore di cui si è accusata, assumendosene la responsabilità esclusiva e chiedendo addirittura perdono a tutti i cittadini, è stato davvero tale?
Da tempo, di fronte alla crescita dei contagi e dei ricoveri, la cancelliera aveva avvertito che si sarebbe dovuto tirare il “freno di emergenza”. Le vacanze di Pasqua, mettendo in moto viaggi, visite e feste familiari, rischiavano di provocare una fiammata. Medici e scienziati raccomandavano una brusca frenata, chiedendo alla popolazione di restare a casa per cinque giorni: un sacrificio ritenuto sopportabile, nella prospettiva di una distensione in estate grazie alla prevista accelerazione delle vaccinazioni.
Non era stato facile convincere alcuni dei Ministerpräsidenten (i governatori) delle Regioni, soprattutto di quelle in cui il tasso di incidenza è ancora fra 50 e 100, circa un terzo o un quarto di quello italiano. Ma alle loro perplessità si è aggiunto un moto di insofferenza di molti cittadini e di esasperazione di commercianti e ristoratori. I mezzi di informazione hanno criticato assai severamente l’adozione di una misura eccezionale con breve preavviso (in realtà 10 giorni), causando danni economici a ristoranti, alberghi e negozi che si erano già riforniti di merce deperibile. E hanno sollevato dubbi sulla legittimità, pur in situazioni di emergenza, di provvedimenti limitativi delle libertà fondamentali, in assenza di apposite leggi.
Molti parlamentari della Cdu, il partito di Merkel, hanno fatto proprie quelle critiche per arrestare la perdita di consensi evidenziata dai sondaggi. Lo stesso Armin Laschet, delfino della cancelliera divenuto presidente della Cdu a gennaio, si è dissociato.
L’AUTOCRITICA
Come durante la cosiddetta crisi migratoria del 2015, Angela Merkel ha fatto una scelta eticamente giusta (salvare vite) ma politicamente dannosa. Con una differenza: allora fu una spettacolare apertura, sei anni dopo ha tentato una drastica chiusura. Questa volta, non essendo più all’apice della popolarità, non ha avuto la forza di tenere la barra dritta in mezzo alla tempesta. Ha fatto marcia indietro, anche per non portare acqua al mulino dell’estrema destra dell’AfD. E per risparmiare al suo partito, e ai suoi ministri, l’accusa di una gestione caotica, si è presa tutta la (presunta) colpa.
L’andamento del contagio nelle prossime settimane – o meglio, il grado di occupazione delle unità di terapia intensiva -, ci dirà se è veramente stato un grave errore adottare quella rigorosa misura cautelare, ora revocata. Il principale argomento di chi vi si è opposto è che i numeri in Germania sono ancora contenuti se paragonati con i Paesi vicini. Il tasso di incidenza a 14 giorni (195) è circa il 35% di quello francese o italiano, il 15% di quello ceco.
In Austria tale tasso è oltre il doppio di quello tedesco, a Vienna è quasi il triplo. In vari ospedali i reparti di rianimazione hanno raggiunto il livello di saturazione, e si è affacciato lo spettro del “triage” (selezione dei salvabili). Nelle regioni nord-orientali, compresa Vienna, verrà imposto un lockdown duro dal 1° al 6 aprile, analogo a quello inizialmente disposto in Germania; dopodiché si tornerà al lockdown parziale per almeno altre 2-3 settimane, senza escludere nuovi giri di vite.
IL NODO DELLE VARIANTI
Resta da chiarire come mai a Berlino si sia più allarmisti che in Paesi con indici di contagio più alti e/o disponibilità di reparti di rianimazione molto più ridotte. Evidentemente questi ultimi ritengono di poter contrastare la terza ondata come le precedenti, estendendo l’uso dei metodi classici (mascherine, distanziamento, smart working), mentre in Germania si teme che venga sottovalutato il salto qualitativo compiuto dal virus con la diffusione della variante “inglese”. Fra l’altro questa aumenterebbe sensibilmente la percentuale dei ricoverati che finiscono in terapia intensiva. Secondo la cancelliera, con l’avvento delle mutazioni del virus siamo in una “nuova pandemia”.
Se, come appare plausibile, per effetto della variante inglese (e forse delle ancor più temibili sudafricana e brasiliana) la situazione negli ospedali andrà peggiorando fino a quando una parte importante della popolazione sarà vaccinata, nei prossimi 2-3 mesi sarà inevitabile adottare misure più drastiche e si dovrà riconoscere che Angela Merkel aveva ragione, anzi che ha sbagliato ad accusarsi con tanta enfasi di aver sbagliato.
IL SENSO DEL COMPROMESSO
Il 28 marzo, intervistata in tv da Anne Will, la cancelliera ha chiarito che il passo indietro non significa una rinuncia a tirare il “freno di emergenza”: è dunque stata una ritirata tattica decisa perché “la politica esige a volte dei compromessi”. Ora attende un soprassalto di senso di responsabilità da parte di quei presidenti di Länder che ancora credono di poter combattere il virus mutato con i metodi che andavano bene per il Covid originario (mascherine e test). In caso contrario bisognerà rafforzare i poteri del governo centrale emendando la legge anti-pandemia (ma anche qui occorrerebbe convincere i Länder per avere l’assenso del Bundesrat, la Camera delle Regioni).
Merkel non ha nascosto la sua disapprovazione verso quei Ministerpräsidenten (anche Cdu) che sono restii a imporre nuove restrizioni, o addirittura inclini a prospettare allentamenti mentre gli indici dei contagi e ricoveri salgono. Compreso Laschet, a capo del Land più popoloso (18 milioni), il Nord-Reno-Vestfalia. Sempre domenica sera, il presidente della Baviera e leader del partito-fratello della Cdu, la Csu, Markus Söder, da sempre paladino della politica del rigore nella lotta al virus, ha espresso pieno sostegno alla linea di Angela Merkel e auspicato il rafforzamento delle competenze federali in questa materia. Si delinea sempre più l’ipotesi di una sua candidatura alla successione della Merkel, in concorrenza con il meno incisivo Laschet.
Articolo pubblicato su Affari Internazionali, qui la versione integrale