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Che cosa si dice e si bisbiglia in Germania sul Recovery Plan

Sarà la Corte costituzionale tedesca a decidere sul Recovery Fund europeo? L'approfondimento di Pierluigi Menniti da Berlino

 

Ormai non c’è passaggio europeo che non preveda il coinvolgimento della Corte costituzionale tedesca, attivata dall’ormai collaudato cerchio magico dei vedovi dei bei tempi dell’austerity, quando l’economia tedesca cresceva nonostante le difficoltà di altri Paesi membri. Era già accaduto, e più volte, per i contributi tedeschi ai vari meccanismi di salvataggio durante le crisi finanziarie degli anni Dieci e per il programma di acquisti dei titoli della Banca centrale europea (i bazooka di Mario Draghi) durante l’eurocrisi. Ora potrebbe accadere anche per gli aiuti del Recovery Fund.

Questo almeno annuncia il solito agguerrito gruppo degli eurocritici, pronto anche questa volta a portare scartoffie e allegati sui tavoli dei giudici di Karlsruhe, sede dell’Alta corte tedesca. In prima fila, inevitabilmente, le vestali del sovranismo economico tedesco. In assenza di esponenti dell’AfD, ci pensa un loro ex, Berndt Lucke, nientemeno che l’economista fondatore del partito nato sull’onda delle critiche alla moneta unica, prima di scivolare su posizioni più radicali. Lucke ha annunciato che solleverà eccezione di incostituzionalità per il pacchetto di aiuti europei a nome del gruppo dei Bündnisses Bürgerwille (BBW), una sorta di associazione di sedicenti cittadini volenterosi, impegnata fin dal lontano 2012 a ingolfare di carte bollate gli uffici di Karlsruhe nel timore che l’unione monetaria si trasformi prima o poi nello spettro della “Transfreunion”, l’Unione dei trasferimenti.

Naturalmente, i cittadini volenterosi non sono gli unici a temere insidie dietro il piano miliardario europeo. Anche Matthias Herdegen, docente di giurisprudenza e direttore dell’istituto di Diritto pubblico all’Università di Bonn, si dice certo che il Recovery Fund finirà sul tavolo dei giudici di Karlsruhe. A suo avviso l’Unione Europea è andata oltre le proprie competenze ed esiste “una doppia confusione delle responsabilità dal lato delle entrate e delle spese”: “L’Ue non ha potere di indebitamento”, ha detto all’Handelsblatt, e infatti il bilancio di Bruxelles è alimentato dalle proprie risorse, principalmente dai contributi degli Stati membri. “I crediti che ora devono essere contratti sul mercato dei capitali sono fondi presi in prestito”, ha aggiunto Herdegen.

Il Bundestag intende approvare in questa settimana la legge di ratifica per la decisione sui fondi propri dell’Ue. I gruppi di maggioranza (Cdu-Csu e Spd) osservano con molta attenzione gli annunci di possibili ricorsi alla Corte ma, sottolinea l’Handelsblatt, il governo ritiene il passaggio parlamentare “non problematico” e si basa su quanto sostenuto dalla cancelliera e concordato con Bruxelles: il Recovery Fund costituisce un’azione di sostegno unica e limitata, legata a un’emergenza sanitaria come la pandemia, paragonabile a una catastrofe naturale e necessaria per la ripresa di tutta l’Europa attraverso riforme innovative di cui beneficerà anche la stessa Germania.

Più volte, di fronte alle domande sull’ipotesi che il pacchetto europeo, che prevede per la prima volta anche la condivisione dei rischi tra i Paesi membri, possa rappresentare un primo passo verso una nuova Unione Europea, il governo di Berlino ha sempre decisamente negato, ribadendo che si tratta di un’iniziativa unica. Ma alcuni partiti, i Verdi innanzitutto che potrebbero entrare nel prossimo governo dopo il voto del 26 settembre, la pensano diversamente e hanno in mente una visione dell’Europa più solidale. Lo stesso ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, si era in passato smarcato dall’interpretazione di Merkel, individuando nel Recovery Plan “la più grande novità dall’introduzione dell’euro”.

Per questo il professore di Bonn non demorde: “La clausola di mutua assistenza di cui all’articolo 122 del trattato Ue non è una base per consentire all’Unione di ottenere denaro al di fuori del bilancio”. Inoltre, Herdegen critica il fatto che Bruxelles non intenda solo utilizzare il fondo per la crisi acuta, ma anche per finanziare politiche per la digitalizzazione e la difesa del clima e naturalmente l’obbligo di responsabilità per gli altri Stati, “incompatibile con la clausola del no-bail-out, ovvero la sola responsabilità degli Stati membri per i loro debiti”.

Sono critiche che la grande maggioranza degli esperti ascoltati lunedì scorso dai parlamentari della commissione bilancio del Bundestag non condivide, assicura il quotidiano economico. Essi ritengono il Recovery Fund economicamente necessario e anche blindato dal punto di vista costituzionale. L’Handelsblatt riporta il punto di vista di Lucas Guttenberg, vice direttore del Centro Jacques Delors di Berlino, per il quale il piano “è un passo significativo e necessario di fronte agli enormi sconvolgimenti economici provocati dalla pandemia”.

Quanto alle tesi di chi intende ricorrere alla Corte costituzionale, Guttenberg ritiene che “l’effetto della decisione sulle risorse proprie sia di fatto molto limitato”, che i meccanismi che regolano il piano “non contengano alcuna via di scampo per perpetuarlo nel tempo”, e infine che “il previsto rimborso tramite il bilancio dell’Ue limiti anche in modo significativo il rischio finanziario per i singoli Stati membri”.

Quanto al Recovery Fund tedesco, che continua a occupare pochissimo spazio nel dibattito pubblico interno, soprattutto rispetto a quanto accade negli altri Paesi membri, Bruxelles e Berlino avrebbero avvicinato le proprie posizioni, dopo che a gennaio la Commissione europea aveva rampognato anche i tedeschi individuando nel loro piano la mancanza di “quello zelo riformatore richiesto agli altri membri Ue”: troppe sovvenzioni, troppo poche riforme. Le critiche dei funzionari europei si erano incentrate su pensioni, fisco e regolamento delle professioni. Le richieste di aggiustamenti riguardavano l’adozione di un ventaglio ampio di misure per migliorare il sistema pensionistico, l’abolizione di una misura fiscale, la ripartizione del reddito fra coniugi (Ehegattensplitting) che secondo i tecnici europei è un meccanismo che disincentiva a lavorare più ore e la liberalizzazione di alcune professioni ancora troppo regolamentate, specie nel settore dell’artigianato e tra gli architetti.

Questioni ingombranti, le aveva giudicate l’Handelsblatt tre mesi fa. Ora lo stesso quotidiano di Düsseldorf rende noto che lo scontro è in via di composizione, almeno secondo quanto sostiene il ministero delle Finanze, che ha inviato al Bundestag un rapporto specifico. “I colloqui con la Commissione europea stanno per concludersi e gli obiettivi e le componenti essenziali del piano tedesco di sviluppo e resilienza sono sostenuti dalla Commissione europea”, è la testuale rassicurazione del dicastero guidato da Scholz. L’Handelsblatt conclude citando un anonimo rappresentante del governo tedesco: “La Commissione europea ha ridotto le sue richieste e si è resa conto che non poteva pretendere grandiose riforme dalla Germania durante l’anno elettorale”. Una dichiarazione che potrebbe però ridare fiato ai critici come Lucke e ai suoi ricorsi a Karlsruhe, tenendo ancora una volta con il fiato sospeso l’intera Unione Europea.

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