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Kosovo

Vi spiego la strategia nucleare di Biden

Il potenziamento nucleare cinese e l’ammodernamento dell’arsenale nucleare russo indurranno gli Usa a mantenere il first use nucleare. Non adotteranno una strategia di no first use. Ecco perché. L'analisi di Carlo Jean 

 

Da vicepresidente, Joe Biden aveva proposto nel 2009 una strategia alternativa a quella del first use nucleare, rimasta in vigore nella Nato anche dopo la fine della guerra fredda. Essa consisteva nell’impegno che il presidente Usa avrebbe fatto ricorso alle armi nucleari tattiche (oggi chiamate sub-strategiche), non in grado di colpire il territorio russo, qualora le difese avanzate non fossero state in grado di respingere un’aggressione anche solo convenzionale del Patto di Varsavia. Qualora anche esse non fossero riuscite a bloccare il conflitto, gli Usa avrebbero scatenato una rappresaglia devastante sul territorio sovietico.

L’idea di Biden era quella di diminuire il ruolo delle armi nucleari nella Nato con quello che chiamò “sole purpose” e che avrebbe precisato le circostanze nelle quali il Presidente Usa avrebbe autorizzato l’uso delle armi nucleari, sul quale ha sempre mantenuto una completa discrezionalità. Il “sole purpose” avrebbe non solo eliminato l’ambiguità esistente sull’uso del nucleare, ma di certo anche previsto uno spettro ridotto di circostanze nelle quali fare ricorso alle armi nucleari. Per taluni, come il gen. Arpino, il “sole purpose” non avrebbe alcuna conseguenza pratica. L’autorità sul nucleare resterebbe comunque nelle mani del Presidente Usa, quale che sia la “strategia dichiaratoria” non muterebbe quella che conta, cioè la strategia reale. Per altri, come per l’ex-ministro della difesa britannico, Robertson, sarebbe uno dei pilastri su cui si regge la Nato. L’Alleanza si sfalderebbe. Taluni Stati cercherebbero accordi con la Russia. Altri creerebbero forze nucleari nazionali. La proliferazione nucleare rischierebbe di essere contrastata con attacchi preventivi da parte della Russia in Europa e della Cina in Asia.

Le armi nucleari costituiscono un elemento essenziale del coupling transatlantico, cioè della difesa collettiva dell’Alleanza. Durante la guerra fredda compensavano l’inferiorità convenzionale della Nato, dissuadendo ogni aggressione. La credibilità del coupling era garantita dalla presenza in Europa di consistenti forze aeroterrestri e di armi nucleari americane. Entrambe non concorrevano solo alla difesa avanzata. Erano “ostaggi” per garantire la solidità dell’impegno completo di Washington per la difesa dell’Europa.

Secondo Biden, dopo il collasso dell’Urss, la Nato disponeva di una superiorità convenzionale tale da escludere il ricorso alle armi nucleari. Il loro ruolo nella strategia dell’Alleanza poteva essere diminuito, anche per ridurre il rischio di un loro impiego per errore e, per poter bloccare l’escalation di un sempre possibile conflitto. Per quanto poco confortevole, l’ambiguità sulle circostanze nelle quali si sarebbe fatto ricorso al nucleare, costituiva e costituisce un elemento necessario per conservare il rischio del suo impiego. È il fondamento della dissuasione e della risposta positiva al dilemma se, per difendere Amburgo, gli Usa fossero disponibili a rischiare la distruzione di New York.

Al limite, il sole purpose, attualmente considerato nella Nuclear Posture Review in corso di redazione al Pentagono, potrebbe consistere nel no first use, che significherebbe la fine della dissuasione estesa all’Europa, sinora protetta dall’“ombrello nucleare americano”. Potrebbe anche consistere nella dissuasione di un attacco nucleare sui territori Usa e dei loro alleati. Aumenterebbe così il rischio di un’aggressione solo convenzionale agli alleati più esposti. Il significato e le implicazioni concrete della nuova strategia non sono chiare. Non sono state mai illustrate nel dettaglio. Forse non lo saranno neppure nella nuova Nuclear Posture Review, che dovrebbe essere pubblicata nel febbraio 2022, né nel nuovo Concetto Strategico della Nato. Secondo altri, si tratterebbe solo di chiacchiere e di propaganda, volta da un lato all’opinione pubblica americana, sempre più restia a correre i rischi del first use, e dall’altro agli alleati, per indurli a rafforzare le loro difese convenzionali.

Forse non se ne farà niente e l’alternativa all’attuale strategia nucleare verrà rimandata a tempi migliori. È probabile che sia così. Le affermazioni di Biden di voler promuovere il multilateralismo cadrebbero nel ridicolo proprio quando, nel confronto con la Cina, il fattore di maggior forza degli Usa sta nella saldezza delle loro alleanze. Biden non è affatto intenzionato né a ridurre il velo di forze americane schierate in Europa Orientale e Baltica (rafforzato da Trump con le truppe inviate nell’area in base alla European Reassurance Initiative), né a ritirare dall’Europa le poche centinaia di testate B-61 – in corso di ammodernamento – ancora schierate nei territori di membri europei della Nato. Sa bene che la sicurezza dell’Europa Orientale e Baltica e quella degli alleati asiatici degli Usa non sia realizzabile con la difesa diretta, ma solo con la dissuasione, per le quali le armi nucleari e la minaccia di rappresaglie massicce rappresentano componente essenziale.

Il potenziamento nucleare cinese e l’ammodernamento ormai quasi completato dell’arsenale nucleare russo indurranno gli Usa a mantenere il first use nucleare. Le loro armi strategiche conserveranno le attuali condizioni di elevata prontezza operativa (launch on warning e launch under attack). Non adotteranno una strategia di no first use, che presuppone la riduzione della loro prontezza, ad esempio custodendo le testate in luoghi diversi dai loro vettori di lancio.

Il Presidente degli Usa non può accettare condizionamenti alla sua facoltà discrezionale. Per questo, si era opposto alla “bomba europea”, prevista nel 1957 dagli accordi franco-italo-tedeschi, prima che il gen. De Gaulle l’affossasse definitivamente. La Force de Frappe o le 200 testate britanniche (che verranno aumentate a 260) non garantiscono una dissuasione credibile. Solo gli Usa possono farlo. Solo con la “dissuasione estesa” possono mantenere la leadership sia in Europa che in Asia Orientale.

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