Dietro operazioni come quella dei Brics, che a Johannesburg hanno appena celebrato il proprio vertice annuale, si intravvede il disegno strategico della Cina di sfidare l’egemonia del blocco occidentale a guida Usa conquistando la lealtà di quell’area grigia del mondo che siamo soliti chiamare come Global South. È la lettura di Carlo Pelanda analista, saggista e docente di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi.
Pelanda, in questa conversazione con Start Magazine, spiega perché quello di Paesi come India, Brasile e Sudafrica, cofondatori dei Brics, è tutto sommato una “forma negoziale”, ossia un modo per attirare l’attenzione dell’America e strappare concessioni.
Come vede la sfida lanciata dai Brics al blocco occidentale?
Il problema c’è, anche se al momento è solo potenziale. Bisogna dire anzitutto che i Brics non sono un blocco come invece comunemente si tende ad intendere. Cina e Russia fanno blocco, ma India, Brasile e Sudafrica non intendono farne parte. La politica di questi Paesi è quella di avere relazioni sia con l’Occidente sia con i suoi antagonisti come Pechino e Mosca, ossia i blocchi del nuovo bipolarismo.
Dunque che gioco stanno facendo?
La loro strategia appare chiara ed è quella di negoziare per strappare vantaggi ad entrambe le parti. Non dobbiamo poi dimenticare che all’interno dei Brics c’è un Paese come l’India che ha un progetto di potere globale, ben evidenziato dalla sonda che l’altro ieri è atterrata con successo sulla Luna. L’India vuole in particolare diventare il leader di quello che è denominato il Global South. Dehli in questo momento è orientata a mantenere una posizione terza nei confronti dei due blocchi, mentre punta nel frattempo a farsi molti amici e clienti nel resto del mondo.
Tuttavia l’India conserva ottime relazioni con la Russia, come dimostrato fra le altre cose dalle ingenti importazioni di petrolio.
Questa è solo apparenza. Nella realtà i Paesi emergenti stanno conducendo una partita che li vede profilarsi come terzo polo autonomo che cerca di ricavare vantaggi dalle relazioni con ambedue i blocchi, cinese e americano. Così facendo, Paesi come l’India guadagnano maggiore attenzione e conseguente benevolenza da parte degli Usa. Non a caso l’America sta fornendo a Dehli armi molto evolute, in chiara funzione anticinese. Questo è il motivo per cui Pechino ora, essendo disperata a causa della crisi interna e della compressione subita dal blocco occidentale, ha studiato questa brillante operazione dei Brics con cui cerca di recuperare seguaci.
Addirittura brillante, Professore?
Lo dico nel senso del famoso specchio delle allodole. L’operazione in realtà ricorda quella che Pechino tentò negli anni Sessanta con il Gruppo dei 77 di cui aspirava a diventare leader. Ma l’esperimento non funzionò granché, sostanzialmente perché si trattava di Paesi poveri.
Però l’odierno Sud globale non è più così povero.
È vero, ma il punto è un altro. La caratteristica principale del Sud globale è che, in prospettiva, avrà un incremento demografico notevole mentre il Nord, inteso come G7, conoscerà una stagnazione demografica. Anche la Cina avrà enormi problemi demografici. L’attenzione vera sul Sud Globale rimanda dunque al fatto che sarà una potenza demografica superiore ai due blocchi cinese e occidentale: questi ultimi includono complessivamente circa 3 miliardi di persone, mentre il Global South ne conta 5.
Come possiamo inquadrare in questo contesto il comportamento del Brasile, ossia di uno dei fondatori dei Brics? Anche a giudicare dalle dichiarazioni del Presidente Lula, da quelle parti spira un forte vento antiamericano.
L’antiamericanismo di Lula è solo di facciata. Lui punta in realtà a ottenere da Washington un compromesso. Fra l’altro Lula è stato aiutato dall’Amministrazione Biden, non posso dire come, a vincere le elezioni. Come altri Paesi del Sud Globale, il Brasile ha solo una posizione rivendicativa ed è in attesa un cenno dallo zio Sam. Molto sintomatico è anche l’atteggiamento di un altro Paese che intende entrare nei Brics come l’Arabia Saudita.
Immaginiamo già quello che vuole dire: quello di bin Salman è un Paese diventato molto abile a giostrarsi tra i due campi.
Proprio così. Riyad da un lato accetta il ruolo della Cina come paciere nella sua contesa con l’Iran, ma dall’altro chiede agli americani la tecnologia per sviluppare il nucleare civile.
Ma dunque Paesi come l’Arabia Saudita nell’aderire ai Brics ci stanno in realtà ricattando?
Per questi Paesi è semplicemente una forma negoziale. Loro stanno dicendo agli Usa: se ci ascolti veniamo con te, e se non lo fai andiamo con l’altro. Quello che ci sta segnalando un fenomeno come i Brics è che i due blocchi contrapposti non hanno nessuna intenzione di andare allo scontro e stanno combattendo una battaglia la cui posta in gioco è l’influenza in quest’atea grigia.
Secondo lei nella competizione tra Cina e Usa chi sta prevalendo?
Secondo me le maggiori chances ce le ha il blocco guidato da Washington specie se alleati come Giappone, Gran Bretagna e Italia sapranno darsi una effettiva proiezione globale. Appare promettente in questo senso l’idea di costituire una Nato nel Pacifico. A questo tentativo la Cina, che non può permettersi uno scontro diretto con Washington né da un punto di vista militare né da quello politico, agisce sulle laterali, cercando di estendere la sua influenza al Sud globale. Questa è la partita in atto.