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Vecchi

Vi spiego gli ultimi show di Grillo e Di Maio. I Graffi di Damato

Che cosa fanno e dicono a sorpresa Beppe Grillo e Luigi Di Maio secondo il notista politico Francesco Damato

Che botta, ragazzi, per i retroscenisti, analisti, specialisti e simili impegnatisi un po’ dappertutto sui giornali, stampati e questa volta anche elettronici, a descriverci lo spettacolo surreale di un Luigi Di Maio che sorride sotto i baffi, pur non avendoli, dell’apparente sconfitta subìta nel referendum digitale sotto le cinque stelle del suo movimento politico sulla “pausa elettorale” proposta nelle regioni in cui si voterà a fine gennaio: l’Emilia Romagna e la Calabria.

In realtà, anche a costo di poter sembrare travolto pure lui dal 70 per cento e più di voti contro la rinuncia a concorrere alle elezioni, lo sconfitto vero sarebbe stato Beppe Grillo – il fondatore, l’elevato” e quant’altro – che dopo avere a suo modo imposto l’alleanza di governo col Pd e dintorni avrebbe voluto fare al partito di Nicola Zingaretti anche il regalo di una sostanziale desistenza elettorale dei pentastellati, destinata ad aiutarlo nello scontro col centrodestra a trazione leghista. Che potrebbe prevalere, magari anche di poco, in entrambe le regioni pericolanti, con particolare scorno nella storica roccaforte rossa dell’Emilia Romagna, dopo che il Pd ha già perduto l’Umbria.

Da questa rappresentazione di un furbisissimo Di Maio riuscito a legare mani e piedi a Grillo, a sabotare il governo in carica, dove non è riuscito ad ottenere né la conferma a vice presidente del Consiglio né la nomina a ministro dell’Interno ma solo una specie di esilio dorato alla Farnesina, e a spingere la situazione verso un ritorno all’alleanza con i leghisti, anche a costo di passare per un debilitante turno anticipato di elezioni, nasceva l’attesa di un Grillo furente e deciso a fargliela pagare cara: sino a rimuoverlo dal ruolo di capo riconoscendosi nel diffuso e crescente malumore esistente contro il giovane ministro degli Esteri nel Movimento, con la maiuscola.

E’ accaduto invece il contrario. Grillo, evidentemente più furbo ancora di Di Maio, o l’unico furbo dell’intera compagnia pentastellata, è sceso a Roma delle sue ville e fra una visita e l’altra all’ambasciata cinese, dove è considerato evidentemente di casa, ha convocato il giovanotto nel solito albergo davanti ai resti dei Fori imperiali per uno spettacolo davvero esilarante di aggiramento politico. Tra foto, pranzo e un quasi monologo web col suo ospite che sembrava, a torto o a ragione, ridotto ad una comparsa sorridente e compiaciuta, Grillo ha graziato politicamente Di Maio, lo ha rimesso in sella al cavallo, ha detto ai suoi avversari interni, dichiarati o occulti, di non rompere letteralmente “i coglioni”, ne ha riconosciuto la insostituibilità e gli ha promesso – o minacciato, secondo gusti e impressioni – di stargli da ora in poi “più vicino”.

Quasi come un inciso, fra un riconoscimento e l’altro, il Grillo parlante ha annunciato per gennaio, a legge di bilancio approvata in Parlamento, salvo clamorosi incidenti di percorso, un secondo e questa volta più stringente e chiaro accordo di governo col Pd per tutto il resto della legislatura. Il che ha incoraggiato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad annunciare un “avanti tutta” a Repubblica in una intervista quasi liberatoria, e almeno una parte della dirigenza del Pd a tirare un sospiro di sollievo.

Di sollievo, pur mitigato con un accenno dubitativo sulla sorte del cosiddetto Bisconte, è stata la rappresentazione dello spettacolo sul Fatto Quotidiano con questo titolo: “Grillo raddrizza i 5Stelle e forse salva il governo”. Ma già il giorno prima, non so se più per felice intuizione, o per vocazione di consigliere, comune del resto a tanti giornalisti, o per maggiori informazioni disponibili su casa Grillo, il direttore del giornale seguìto con particolare interesse sotto le cinque stelle aveva anticipato quel che ci si poteva e doveva aspettare dal fondatore ed “elevato” del Movimento. In particolare, ricordato che alla presentazione delle liste pentastellate alle elezioni regionali emiliane e calabresi mancano 50 giorni ed esse “non si decidono a Roma nelle segrete stanze” di Di Maio e amici, Marco Travaglio aveva scritto testualmente: “Grillo ha la verve, la fantasia, l’energia e il seguito per organizzare due assemblee aperte a Bologna e a Reggio Calabria coi grillini locali e le forze politiche emergenti” e a “prendere l’ultimo treno” disponibile per realizzare attorno alle candidature imposte dal referendum digitale le condizioni, il clima e quant’altro adatto ad un’intesa col Pd del posto che scongiuri il rischio di una vittoria del centrodestra guidato dal temutissimo Salvini.

In pratica, Grillo si propone, dopo averlo graziato, o proprio per questo, di portarsi appresso Di Maio, standogli “più vicino”, come già riferito, in una inversione di rotta a favore delle intese di salvataggio del Pd nelle regioni dove esso è più immediatamente in pericolo. C’è un po’ di confusione in tutto questo, e anche di presunzione di convincere il proprio elettorato a fare qualcosa di assai poco gradito, visto il 7 per cento al quale il Movimento si è ridotto in Umbria alleandosi col Pd, ma Grillo in persona ha detto e proclamato davanti a Di Maio che “il caos è nella nostra natura”. Esso può addirittura contribuire a fare di questo “un momento magico” per i pentastellati.

L’esaltazione del caos deve essere stata musica alle orecchie dell’ambasciatore cinese a Roma amico di Grillo perché fu Mao il primo a dire: ”Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è quindi eccellente”. Siamo insomma all’incrocio fra la via delle stelle, o almeno delle 5 stelle, e la via della seta.

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