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Vaccino Sputnik

Cosa si nasconde dietro la passione della Germania per Sputnik V

Sono tre le figure chiave attorno alle quali si muove il ritrovato amore tedesco per il vaccino Sputnik. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Sono tre le figure chiave attorno alle quali si muove il ritrovato amore tedesco per il vaccino Sputnik. Tre uomini russi, che più diversi tra di loro non potrebbero essere, saranno nelle prossime settimane al centro delle attenzioni di una pletora di politici tedeschi. Dal presidente della Baviera Markus Söder, che per primo ha annunciato la prossima firma di un pre-contratto per 2,5 milioni di dosi del vaccino russo, al ministro federale della Sanità Jens Spahn che agisce per conto dell’intero paese, fino ad altri presidenti di regione, specie quelli orientali da tempo ben disposti verso la soluzione moscovita, che ora corrono in ordine sparso.

Nel grande gioco dei vaccini emergono adesso tre figure destinate ad assumere un ruolo importante in Germania, in attesa che l’Europa, attraverso la sua agenzia dei farmaci Ema, concluda la complessa revisione continua e dia il via libera allo Sputnik. E se la Commissione ha detto di non voler firmare alcun pre-contratto prima della decisione dell’Ema, i tedeschi si muoveranno in senso contrario, da soli seppur in ordine sparso.

Per Alexej Repik, 41enne proprietario di R-Pharm, quella tedesca potrebbe essere la svolta tanto attesa. Sei anni fa sollevò dal fallimento lo storico stabilimento farmaceutico di Illertissen, nella Svevia bavarese, un simbolo del declino della Germania come “farmacia del mondo”. Fondato nel 1860, iniziò a produrre medicinali oltre 70 anni dopo, nel 1934. Ma i tempi gloriosi erano già finiti negli anni Settanta, quando venne rilevato dall’americana Pfizer che non riuscì a farne una fabbrica produttiva. Nel decennio successivo alla riunificazione tedesca, Illertissen visse per intero la propria decadenza, fino all’interruzione della produzione nel 2010. Nel 2014 apparve dalla Russia un investitore che nessuno aveva mai sentito nominare: Alexej Repik. I primi anni della sua R-Pharm non hanno confermato il successo promesso, anzi nel 2018 l’azienda ha registrato conti in profondo rosso. Ma con il Covid può cambiare tutto. La Germania arranca come il resto d’Europa dietro alla penuria di vaccini e il giovane miliardario russo promette con Sputnik V di colmare la fame di dosi.

Repik è considerato in Russia una sorta di ragazzo prodigio. Ha tutto quello che serve per farsi largo nella giungla moscovita, a partire da ottimi contatti con il Cremlino, una costante che ritroveremo anche negli altri due protagonisti. Sveglio, veloce, amante del rischio e ossessionato dal lavoro, quasi al limite dell’iperattività, così lo descrive chi lo conosce. Qualcuno lo ricorda frequentatore di tornei di poker negli anni Duemila. Polvere d’azzardo che deve essergli rimasta appiccicata addosso. A 16 anni, da studente, si pagava gli studi lavorando in un ospedale di Mosca, dove venne ingaggiato da un’azienda specializzata nella distribuzione di medicinali. È lì, secondo uno dei suoi racconti, che capisce il business farmaceutico in Russia: gli ospedali hanno bisogno di medicinali e le aziende occidentali impattano contro gli ostacoli della burocrazia. Così, a soli 21 anni, entra nel settore e fonda R-Pharm. Era il 2001.

Da allora la crescita è stata impetuosa, da fornitore di nicchia a quella che Forbes ha definito “la migliore azienda farmaceutica russa”, grazie anche a ai suoi legami con il mondo politico che conta. I rapporti diretti con Putin sono intensi, come dimostrano i 18 incontri ufficiali negli ultimi 4 anni registrati sul sito ufficiale del presidente, ma già ai tempi della presidenza Medvedev Rupnik si distinse come esponente della nuova generazione di imprenditori estranei alla vecchia oligarchia di gas e petrolio. Il legame con il potere è oggi rafforzato dalla sua guida dell’associazione imprenditoriale Delovaya Rossiya, ritenuta vicina al partito putiniano. E grande impulso a R-Pharm è arrivato da un appalto statale per la fornitura di medicine speciali, come quelle per la cura dell’Hiv. La produzione di Sputnik in patria poggerà su due stabilimenti, uno già operativo a Jaroslavl, l’altro in costruzione a Mosca. È stata siglata una collaborazione con Astra Zeneca per la produzione del vaccino di Oxford destinata all’estero e sono stati investiti miliardi di euro per lo sviluppo di un proprio vaccino con l’Università statale di Mosca. In 11 anni il fatturato si è triplicato fino a 82 miliardi di rubli, poco meno di un miliardo di euro. A due miliardi di euro, invece, ammonta il patrimonio di Repik. Che ora punta tutto sul rilancio della fabbrica di Illertissen per rifornire la Baviera, la Germania e l’Europa con lo Sputnik.

Uno dei legami che Rupnik ha tessuto negli ultimi tempi è con Kirill Dmitriev, il direttore del fondo d’investimenti statale RDIF, che ha impegnato le sue risorse per lo sviluppo di Sputnik V. Dmitriev è l’uomo che pubblicizza il vaccino russo in giro per il mondo, rintuzza le critiche di europei e americani, tratta con governi e agenzie del farmaco locali, stipula contratti. È nato in Ucraina, a Kiev, e il suo curriculum racconta la storia di un uomo d’affari e di mondo: studi negli Stati Uniti, a Stanford e alla Harvard Business School, dalla fine degli anni Novanta entra in forza prima a Goldman Sachs, poi a McKinsey.

L’esperienza americana ne ha fatto l’uomo ideale per guidare dal 2011 il fondo che, con quasi 8 miliardi di euro di capitale, cerca investitori e partner per dare vigore all’economia russa. Da quando è scoppiata la pandemia il RDIF è diventato una sorta di avanguardia della diplomazia russa del Covid, finanziando macchine per l’ossigeno da inviare negli Usa, investendo in un medicinale russo-giapponese che avrebbe dovuto mitigare il decorso dell’infezione, sviluppando test rapidi per l’export. Fino a quando all’orizzonte non è apparso il vaccino dell’Istituto Gamaleya. Ad aprile la decisione di investire qui. Il nome patriottico glielo ha dato proprio lui, Kirill Dmitriev: Sputnik richiama l’epopea del trionfo spaziale sovietico, quando gli americani rimasero spiazzati dal lancio del primo satellite nello spazio.

E il richiamo all’Unione Sovietica dovrebbe suonare gradito anche al terzo personaggio, Alexander Ginzburg, il 69enne biologo di Mosca direttore dell’Istituto Gamaleya che ha sviluppato lo Sputnik. Lui appartiene alla vecchia guardia degli scienziati sovietici, una vera e propria risorsa dispersa dopo il crollo dell’Urss in tanti rivoli. La diaspora degli scienziati, emigrati un po’ ovunque in Occidente, dagli Usa all’Europa fino a Israele. Ginzburg decise di rimanere a Mosca, nel 1982 entrò al Gamaleya e nel 1997 ne prese le redini.

Si deve a lui la decisione di specializzare l’istituto nello sviluppo dei vaccini e nei suoi laboratori venne studiato nel 2012 un primo preparato contro il Mers, il coronavirus che aveva colpito l’Arabia Saudita. Un vaccino a vettore virale, come sarà poi lo Sputnik V.

L’anziano scienziato è un tipo schietto e diretto, chi lo frequenta riferisce divertito i suoi detti preferiti, che in qualche modo spiegherebbero anche le modalità non proprio ortodosse con cui il vaccino è arrivato al traguardo dell’autorizzazione in Russia, prima ancora che venissero compiute tutte le sperimentazioni previste: “Chi vuole creare qualcosa di nuovo ma segue le regole stabilite, è destinato a fallire”.

Così Ginzburg ha fatto vaccinare tutti i collaboratori del suo prestigioso istituto, poi i suoi familiari fino alla piccola nipotina. Alla fine si è vaccinata anche Katerina Tikhonova, la figlia minore di Putin, direttrice della fondazione scientifica Innopraktika. Poco prima che l’agenzia del farmaco russa approvasse Sputnik V, la giornalista Natalija Popova aveva firmato un servizio alla tv di Stato Rossija annunciando di aver testato il vaccino prima della sperimentazione. Popova non è una giornalista qualsiasi. È la vice-direttrice di Innopraktika e compagna di studi di Tikhonova. E moglie di Kirill Dmitriev. Una lunga catena di rapporti e famiglie, che non soprende chi conosce gli “arcana imperii” moscoviti e lungo la quale si è sviluppata la storia del vaccino russo contro il Covid che ora tanto piace ai tedeschi.

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