I movimenti politici e di protesta “spontanei” in genere hanno vita breve se non trovano un loro spazio pubblico nel quale convogliare le istanze che sostengono. Non basta, insomma, prendere un appuntamento attraverso il web una settimana dopo l’altra per dare vita a manifestazioni pacifiche magari nelle intenzioni, ma che per i motivi più disparati finiscono quasi sempre per trasformarsi in violente dimostrando in tal modo la loro stessa fragilità dovuta alla mancanza di coordinamento e, soprattutto, di un’idea sostenga la sfida al potere costituito, al di là dell’occasionalità che può averla originata.
Se in due mesi i gilets jaunes non sono riusciti ad andare oltre la richiesta di dimissioni di Emmanuel Macron, di per sé irricevibile da tutte le altre forze politiche che si rendono conto della devastante conseguenza – se mai avesse un seguito – sulle sorti della Repubblica, sul sistema costituzionale e sulla società francese, significa che la “minoranza rumorosa” comincia a perdere colpi ed i più avveduti tra coloro che hanno innescato la rivolta si guardano intorno allo scopo di non smarrirsi nel velleitarismo foriero di ben più gravi lesioni all’ordine costituito rispetto a quanto s’è visto finora e inevitabilmente avviato ad un suicidio più o meno lento a seconda delle circostanze e delle reazioni di chi intende opporsi a quella che potrebbe avere i caratteri di una sommossa permanente e non più di una protesta.
Come attraggono consensi i Gilet Gialli
Potrebbe accadere, dunque, che il tentativo, sia pure improvvisato ed orchestrato in maniera approssimativa, di attrarre consensi intorno alla battaglia per una più equa distribuzione delle risorse o anche soltanto per sollecitare misure atte a frenare l’impoverimento di una società complessa afflitta da disparità, naufraghi di fronte alla resistenza di chi ha tutto l’interesse di frenare la delegittimazione degli organi costituzionali, a cominciare dalla presidenza della Repubblica, e sbiadisca agli occhi della pubblica opinione, come dimostrano le ultime uscite caratterizzate da scarsa partecipazione popolare e da crescente violenza. A questo punto il movimento, se di movimento si può parlare, posto che ad esso manca unità d’intenti ed organizzazione nella costruzione della protesta stessa, si trova di fronte ad un bivio: costituirsi come soggetto politico se non proprio coerente quantomeno individuabile nelle forme e nelle proposte o confluire, in tutto o in parte, in quelli d’opposizione già esistenti, a seconda delle affinità. Dunque stare con Marine Le Pen ed i suoi prossimi o con Jean-Luc Mélenchon e quella parte della sinistra antagonista più sensibile alle tematiche ecologiste che hanno indotto molti militanti della nuova gauche – non diversamente da quelli della droite nouvelle – a guardare i gilets jaunes con simpatia quando si sono proposti come accusatori della “transizione ecologica” di Macron denunciandone i provvedimenti sulla carbon tax e la sostanziale ripercussione sull’agricoltura penalizzata dall’aumento del carburante, provvedimenti la cui filiazione tecnocratica e globalista viene rivendicata dagli intellettuali per quanto inorganici al movimento, ma certamente simpatizzanti se non altro per l’avversione nutrita nei confronti di Macron e di ciò che rappresenta, al di là dei disastri politici e sociali che gli si possono attribuire da quando ha conquistato l’Eliseo.
Le caratteristiche magmatiche
Il magmatico ed enigmatico (finora) movimento che sta tenendo in apprensione la Francia, nato nella scorsa estate – tra il disinteresse pressoché di tutti gli analisti politici – ed esploso nel novembre scorso quando nessuno sembrava accorgersi di ciò che si muoveva attraverso il web, si è immediatamente caratterizzato come il nemico principale di Macron del quale, senza l’intermediazione partitica tradizionale, ha “svelato” la natura (semmai ce ne fosse stato bisogno) di “presidente dei ricchi”: un oligarca mandato all’Eliseo dalle élites economico-finanziarie e mediatiche per salvaguardare gli interessi dei cosiddetti “poteri forti” la cui prima conseguenza è stato l’abbandono di quel ceto medio cui pure aveva fatto appello nel suo libro-manifesto Revolution, la porzione più consistente della popolazione francese che non ci ha messo molto tempo ad abbandonarlo al suo destino come i sondaggi rivelavano già alla fine della scorsa primavera quando non era trascorso ancora un anno dalla sua elezione.
Disagio crescente, governo silente
Fin da allora era stata la vecchia borghesia ad accusare un persistente disagio fino ad avvicinarsi, anche sull’onda degli scandali e delle approssimazioni politiche del giovanotto di Amiens, ad avvicinarsi agli improvvisati contestatori della “presidenza juppiteriana” nella speranza che un movimento di autentica ispirazione popolare, dunque non manovrabile, tanto la maggioranza governativa, quanto l’opposizione istituzionale traessero le doverose conseguenze politiche inducendo il presidente ed il gabinetto di Edouard Philippe ad attuare misure coerenti con quanto promesso durante la campagna elettorale, vale a dire la diminuzione della pressione fiscale e l’abbattimento del carovita unitamente alla lotta alla povertà foriera di tensioni sociali gravissime anche sotto il profilo del mantenimento dell’ordine pubblico.
Perché la classe media sta abbandonando Macron
Macron non ha convinto la classe media che pure lo aveva ampiamente sostenuto, né smorzato le ragionevoli pretese dei gilets jaunes che agli esordi qualcuno aveva qualificato come tardi epigoni del poujadismo, un movimento che prese il nome da Pierre Poujade nel 1953, in difesa di commercianti ed artigiani per contro le degenerazioni del parlamentarismo agonizzante della Quarta Repubblica dando vita ad una forma piuttosto elementare, ma efficace di populismo (elesse 56 deputati presentandosi al voto sotto il nome Uonione e Fraternità Francese, raggruppamento contrario al Trattato di Roma per la Comunità europea, chiedeva l’eliminazione dei controlli fiscali e la difesa dei piccoli commercianti), del quale numerose tracce si possono rinvenire nel movimento dei gilets jaunes, Rappresentava la difesa di una parte dell’elettorato francese che considerava pericolosa per la società e la Repubblica l’instabilità politica determinata dalla debolezza della pratica partitiocratica. Il movimento si proponeva si superare la dicotomia tra destra e sinistra riprendendo il tema del Partito Popolare Francese di Jacques Doriot, un movimento di destra a cui si deve negli anni pre-bellici l’invenzione dello slogan “né destra, né sinistra”.
Le caratteristiche dei gilets jaunes
Richiamandosi ai fondamenti della destra francese il poujadismo assunse le caratteristiche di un “populismo reazionario” e venne considerato un movimento popolare per la composizione del blocco sociale che lo sosteneva. I gilets jaunes possono, in qualche modo,essere considerati dei moderni poujadisti? Le assonanze non mancano e soprattutto gli atteggiamenti populisti e avversione all’Europa, oltre alla rappresentanza degli stessi ceti, autorizzano a riconoscerne la “discendenza”.
Come si sta evolvendo il movimento dei Gilet Gialli
Il movimento, nelle otto manifestazioni a cui ha dato vita, ha preso una strada ben diversa da quella che prometteva. Non ha intercettato la “maggioranza silenziosa” e buona parte di questa che l’ha seguito con un certo interesse, se non proprio con simpatia, se n’è distaccata. Tuttavia, nonostante la deriva violenta di una parte di esso, risulta tutt’altro che trascurabile al punto che Macron non attende altro che le sue pretese si fondano e si confondano con quelle apertamente sovversive che hanno culminati in episodi tipici della canaglieria casseur rigettati dal ceto medio, come lo sfondamento del portone del Ministero degli Rapporti con il Parlamento, le continue azioni contro le istituzioni statali ed azioni di guerriglia urbana che hanno allontanato in tanti che ritenevano possibile una “rivoluzione tranquilla”, posto che Macron aveva tradito la sua. Se poi si considera che in due mesi la sommossa ha provocato dieci morti, centinaia di feriti, innumerevoli danni alle cose, spaventando perfino coloro che ad essi si erano accostati rifluiti in uno stato di delusione prossimo all’abbandono (sui cui punta Macron), ce n’è di che immaginare uno scenario completamente nuovo rispetto a quello che si prospettava soltanto agli inizi di novembre.
Gli ondeggiamenti dei 5 Stelle
Il movimento, dunque, è diviso, frastagliato, perfino litigioso. Ed è difficile per gli stessi partiti di opposizione immaginare con chi tessere possibili accordi in vista delle elezioni europee di maggio. Se questo in Francia è il tema, aspettando che dal movimento vengano fuori autentici soggetti politici, sembra assolutamente impolitico e vagamente bizzarro, oltre che chiaramente opportunistico tentare approcci politici con qualcuna delle componenti dei gilets jaunes, come ha fatto il leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, dimenticando non soltanto il suo ruolo istituzionale che avrebbe dovuto sconsigliarlo, ma anche i suoi entusiastici endorsement a favore di Macron dopo le presidenziali del maggio 2017. La coerenza è merce rara tra i pentastellati, capaci di tutto pur di restare a galla, mai mettendo in conto che se si sgonfia il salvagente del disagio popolare su cui fanno affidamento andranno a fondo come è accaduto ad altri loro predecessori piombati nel baratro dell’irrilevanza dalle altezze vertiginose che avevano raggiunto grazie a promesse non realizzabili.
(1.continua; la seconda parte dell’analisi sarà pubblicata domani)
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