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Baerbock

Vi racconto le ultime baruffe elettorali in Germania

Fatti, nomi e polemiche sulla campagna elettorale in Germania. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Annalena Baerbock non riesce a disincagliare la campagna elettorale dei Verdi dalle secche in cui è finita per una lunga serie di piccoli e grandi inciampi, in cui è incappata dopo un avvio sfolgorante. Alle gaffe e alle “sviste” delle scorse settimane si è aggiunta, ultima, la polemica sulla scopiazzature per il suo libro, un pamphlet a mezza via tra programma elettorale e visione del futuro. A sollevare l’accusa di plagio, in Germania una clava con la quale ormai bastonare ogni velleità dei politici, non è stato neppure un tedesco, ma un esperto di media viennese, Stefan Weber, un tipo che sul suo blog si presenta come “cacciatore di plagi” e che per paradosso nel 2017 fu incaricato dai Verdi europei di stilare un rapporto sui rischi del glifosato.

Ancora una volta sulla difensiva, Baerbock ha minimizzato il plagio sostenendo (in verità con qualche ragione) che la sua pubblicazione sia un instant book politico e non una tesi di laurea o un lavoro scientifico. Aver saccheggiato il programma del partito o – come sostiene ora Weber – le interviste di Joschka Fischer senza citarle sarebbe un peccato veniale: in fondo Baerbock è la portabandiera delle tesi ecologiste. Ma la carica di moralismo con cui i Verdi hanno spesso sostenuto il confronto politico con gli avversari ora si ritorce contro, e agli elettori sarebbe comunque piaciuto che una possibile futura cancelliera presentasse in un libro idee sue e non del padre nobile del partito. Anche il tentativo di buttarla sulla questione di genere (“Baerbock è attaccata in quanto donna”) regge poco e spinge la candidata nell’angolo del vittimismo: la misoginia mal si concilia con un elettorato che da 16 anni elegge una donna al vertice del Paese. Né è credibile il vittimismo nei confronti della stampa: secondo un’indagine dell’autorevole Neue Zürcher Zeitung, i giornalisti politici tedeschi sembrano avere un atteggiamento di riguardo per i Verdi, almeno analizzando i tweet da loro pubblicati in questa campagna elettorale.

Così i sondaggi vanno sempre più giù: i Grünen sono scesi fino al 20%, secondo l’ultimo rilevamento Insa anche al 19, sono tallonati dai socialdemocratici e sempre più lontani dal sogno di giocarsi la cancelleria con i cristiano-democratici.

Chi gongola è Armin Laschet. Si trova nella condizione di fare quello che gli riesce meglio: giocare di sponda. Il candidato dell’Unione ha già assunto il tono istituzionale di chi non deve dimostrare nulla, pur non avendo ancora dimostrato alcunché. La sua partita assomiglia a quella di una squadra di calcio votata al contropiede, cui gli avversari hanno regalato un autogol nei primi minuti: ora si tratta di pazientare, muoversi con accortezza, attendere gli sbilanciamenti altrui e colpire d’infilata.

Tutti i piccoli scandali che hanno accompagnato l’Unione, primo su tutti quello del commercio di mascherine in cui erano rimasti invischiati alcuni parlamentari, sono dimenticati. È in gioco il futuro del Paese dopo l’era Merkel e agli elettori sembra passata la voglia di sperimentare rivoluzioni più o meno colorate: per superare l’immobilismo degli ultimi anni della cancelliera, si accontentano della generica promessa laschetiana di un decennio di modernizzazione. Qualsiasi cosa significhi, non sembra un progetto in grado di rivoluzionare le esistenze. Avanti adagio ed esperimenti solo “quanto basta”, come le dosi di sale nelle minestre equilibrate.

Sui temi che in questo primo spicchio di vacanze tedesche appassionano la stampa, il nuovo leader della Cdu trova sempre le risposte mediane. Se alcuni deputati Cdu chiedono multe salate per chi non si presenta alla seconda vaccinazione, lui replica che le punizioni non portano da nessuna parte e che è meglio intensificare la comunicazione positiva sui vaccini. Ai Verdi che propongono limiti di velocità autostradali per difendere l’ambiente, ribatte che sarebbe un controsenso limitare, ad esempio, la velocità delle auto elettriche e che comunque già oggi la velocità media in autostrada è inferiore a qualsiasi limite: sì alla tutela del clima, ma puntando anche sulle tecnologie. L’Unione ha riconquistato il baricentro della politica e Laschet sembra adesso il nocchiero più affidabile tra i candidati in corsa.

Durerà fino a settembre? Probabile, viste le alternative. Olaf Scholz, il “socialdemocratico di destra” che corre per un partito i cui vertici provengono tutti dall’ala più a sinistra, brucia entusiasmi ed energie nel tentativo di rianimare quello che fu uno dei due pilastri della Bundesrepublik. Freddo, ragionatore, anseatico, ha tutto quello che servirebbe per attrarre imprenditori e mondo economico, peccato che questi guardino da un’altra parte. E peccato che l’Spd si sia convinta che il suo problema sia quello di aver smarrito il vecchio filo delle battaglie di sinistra. Alla ricerca dei lavoratori perduti (e forse scomparsi), il partito sembra un Giano bifronte, con i leader che guardano da una parte e il candidato dall’altra.

La sintesi schröderiana è perduta, quando non rinnegata, rinchiusa nello scantinato di inizio secolo assieme alla terza via clintoniana e al New Labour blairiano. Un’altra strada, però, non è stata trovata. Così Scholz avanza solitario, con l’unica speranza che i Verdi pasticcino ancora un po’ e si possa evitare l’onta del terzo posto. Il futuro è l’opposizione, dove provare a rigenerarsi. Una nuova edizione della Grosse Koalition viene esclusa.

Alle spalle i segnali di vita arrivano dai liberali, oscillanti nei sondaggi tra l’11 e il 13%. Sono spinti dal ritorno in scena del maltrattato ceto medio e degli imprenditori, delusi dall’immobilismo dell’epilogo merkeliano e sospettosi di fronte ai radicalismi dei Verdi. L’Fdp ha una gran voglia di tornare al governo, dopo aver vissuto due legislature fa l’inferno dell’extraparlamentarismo e il suo leader Christian Lindner è disposto a farlo anche abbracciando i Grünen in una coalizione Giamaica con l’Unione: la stessa che aveva bocciato quattro anni fa. Ma allora a capo ci sarebbe stata Angela Merkel, questa volta ci sarebbe Laschet, e i liberali di lui si fidano. Un’ulteriore carta nelle mani del presidente del Nord Reno-Vestfalia: forse la Cdu non ha sbagliato ad affidarsi a lui.

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