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Vi racconto la partita del petrolio iraniano sullo sfondo dello scontro Usa-Cina

L'approfondimento di Marco Orioles

 

Gli analisti sentiti dalla CNBC ammoniscono che la “volatilità” del prezzo del petrolio “è destinata di nuovo ad innalzarsi” mentre i mercati “aspettano la risposta cinese all’ultima minaccia Usa sui dazi” (la decisione di Donald Trump di tassare al 10% le importazioni su 300 miliardi di dollari di merci cinesi) che, è il loro timore,  potrebbe materializzarsi sotto la forma “dell’acquisto di petrolio iraniano” in aperta sfida alle sanzioni americane.

L’allarme lo lancia in particolare un rapporto di Bank of America Merryl Lynch diffuso venerdì: pur “mantenendo la nostra previsione di un prezzo del Brent al barile di 60 dollari per il prossimo anno”, scrive l’istituto, “ammettiamo che una decisione cinese di riavviare gli acquisti di petrolio iraniano potrebbero far crollare i prezzi del petrolio” fino addirittura ai 20-30 dollari al barile.

Che farà dunque la Cina con il greggio di Teheran è la domanda che tutti si pongono per rispondere alla quali può essere utile guardare all’import energetico cinese dalla Repubblica Islamica. Secondo i dati raccolti da S&P Global Platts citati da CNBC, il volume complessivo di petrolio esportato dall’Iran nel mese di giugno è anzitutto crollato a 550 mila barili al giorno dagli 875 mila barili venduti a maggio (per non parlare dei 2,5 milioni toccati a giugno dell’anno scorso). Più o meno la metà di quei 550 mila barili sono stati consegnati alla Cina.

Questi dati vanno confrontati con quelli delle tre società che monitorano i movimenti dei tanker citate da Reuters in un dispaccio diffuso la settimana scorsa. Secondo le tre società, nel mese di giugno le petroliere partite dall’Iran hanno scaricato in Cina complessivamente tra 4,4 e 11 milioni di barili di petrolio, ovvero tra 142 e 360 mila barili al giorno, con un dato medio di 210 mila barili che rappresenta, sottolinea Reuters, il livello più basso in un decennio.

Per i dati del mese di luglio, ricorda l’agenzia, bisognerà aspettare l’ultima settimana di agosto, quando saranno diffusi dalla General Administration of Chinese Customs. A quel punto risulterà più chiaro cosa sta facendo Pechino dinanzi alla strategia anti-iraniana della Casa Bianca che mira, com’è noto, ad azzerare l’export energetico di Teheran.

La domanda che tutti si pongono a questo punto è se la la Cina continuerà ad importare petrolio dall’Iran come ha fatto a giugno a dispetto della scadenza, avvenuta a maggio, dell’esenzione concessale lo scorso inverno dall’amministrazione Trump che aveva consentito alla Repubblica popolare di continuare ad acquistare il greggio iraniano per pochi mesi anche se a volumi ridotti.

Poiché tutto sembra indicare che la Cina voglia proseguire su questa strada, sfidando Washington e le sue sanzioni, Reuters ha interpellato un funzionario del Dipartimento di Stato Usa, chiedendogli se l’America intendesse sanzionare Pechino. La risposta è stata negativa, con la precisazione però che gli Usa “continueranno a cercare maniere per imporre costi all’Iran nello sforzo di convincere il regime iraniano che la sua campagna di attività destabilizzanti comporta costi significativi”.

Che da Washington non siano escluse mosse a sorpresa lo conferma però, ricorda Reuters, la decisione presa il mese scorso dagli Usa di sanzionare il trader statale cinese Zhuhai Zhenrong Co per aver violato le sanzioni che colpiscono il settore petrolifero iraniano.

Non è dunque escluso un altro (l’ennesimo) braccio di ferro tra Cina e Usa. Una probabilità confermata anche dal tentativo degli ayatollah di manovrare a proprio favore le tensioni tra le due superpotenze rivali. Significative, a tal proposito, le parole con cui lo scorso 29 luglio il vicepresidente iraniano Eshaq Jahangiri accolse l’alto diplomatico cinese Song Tao in visita a Teheran: “Anche se siamo consapevoli che paesi amici come la Cina devono fare i conti con certe restrizioni, ci aspettiamo da loro che siano più attivi nell’acquistare petrolio iraniano”.

Mai sottovalutare però le astuzie dell’ex impero di Mezzo. Che la settimana scorsa, attraverso il proprio ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti Ni Jian, ha lanciato a Washington un segnale raccolto dai reporter di Reuters che hanno riferito come la Cina “potrebbe scortare le proprie navi commerciali nelle acque del Golfo (Persico)” aderendo così alla “proposta Usa di (mettere in piedi) una coalizione marittima per rendere sicuro” quel tratto di mare dagli attacchi dei Guardiani della Rivoluzione come quelli messi a segno nelle settimane scorse.

“La nostra posizione”, ha affermato Ni da Abu Dhabi, “è che tutte le dispute dovrebbero essere risolte con mezzi pacifici e attraverso discussioni politiche e non (con) azioni militari. (Ma se) dovesse accadere che ci fosse una situazione davvero poco sicura, prenderemo in considerazione di usare la nostra Marina per scortare le nostre navi commerciali”. “Stiamo studiando”, ha confermato successivamente il diplomatico a Reuters, “la proposta Usa”.

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