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Conte Renzi

Vi racconto la guerra (psicologica) fra Renzi e Conte

Che cosa cela la cosiddetta “verifica” voluta da Renzi per azzoppare Conte. Il corsivo di Teodoro Dalavecuras

 

Ludwig Dehio (1888 – 1963) è uno storico tedesco che è riuscito in un’impresa non banale. Ha dimostrato, col proprio lavoro di storico, che la storia della Germania moderna non è la storia di una congenita perversione del popolo tedesco, ovvero della “germanitudine” ma, in primo luogo e essenzialmente, un aspetto della storia del sistema europeo degli Stati.

Al contempo si è guadagnato l’ostilità dei compatrioti che esortava, negli anni 50 del Novecento, a abbandonare la stella polare del nazionalismo (e quindi la ricerca della riunificazione con la Ddr), anziché rifugiarsi in una autocolpevolizzazione etnica se non addirittura razziale, per imboccare la strada della libertà e della federazione europea, il solo modo per uscire dalla dialettica, quella sì perversa, dell’egemonia inseguita nei secoli dalle diverse potenze dell’Europa continentale.

Quella dialettica che, dopo la caduta dell’unità medioevale, aveva condotto gli Stati europei a combattersi necessariamente per l’egemonia e a subire il ripristino dell’equilibrio per iniziativa delle potenze esterne al sistema degli Stati dell’Europa continentale (la Gran Bretagna e poi gli Stati Uniti a occidente, l’impero zarista a oriente).

Per Dehio il III Reich hitleriano non è, pur nei suoi aspetti manifestamente demoniaci, che l’ultimo anello di una catena che comincia con Carlo V, prosegue con Filippo II e Luigi XIV e poi con Napoleone e Guglielmo II. Di questa tesi offre una dimostrazione storica piuttosto convincente nel suo “Equilibrio e Egemonia”.

Nel suo piccolo, anche la politica italiana si potrebbe interpretare secondo questo schema e la vicenda di Matteo Renzi, cui è bastato il successo alle elezioni europee del 2014 per mettere in moto un processo che avrebbe condotto a una coalizione di interessi e fazioni totalmente eterogenei (che cosa potessero avere in comune la Meloni con Zagrebelski o la Carlassare con Salvini non si riesce a immaginare) uniti solo dall’obiettivo di spegnere nella culla i temuti disegni egemonici di Renzi, più o meno com’era stato trent’anni prima nei confronti di Bettino Craxi.

Il terrore che genera il semplice sospetto di un potenziale rischio egemonico è tale che ancora oggi, quando i sondaggi attribuiscono alla sua Italia Viva percentuali da additivo per prodotti alimentare, Renzi continua a seminare il panico nella dirigenza del Pd, qualsiasi iniziativa assuma. Benché insoddisfatti dal governo di Giuseppe Conte, pur di non darla vinta a Renzi i capi del Pd restano fermi nella loro subalternità ai grillini, e si fanno rappresentare nel dibattito politico dal misterioso (per noi profani) ma ormai mitico Goffredo Bettini, che sarà sicuramente un genio della strategia e della tattica del potere, ma che si fa notare – ripeto, da noi profani – per l’assoluta incapacità di comunicare col pubblico, o quanto meno per l’assenza di qualsivoglia interesse a farlo, eppure è praticamente il solo a manifestare con interviste, lettere ai giornali e simili il “pensiero politico” del Pd.

Da questo punto di vista, la vicenda, ormai vecchia di alcune settimane, della cosiddetta “verifica” voluta da Renzi e circonvoluta da Conte si può considerare un interessante esperimento di psicologia politica e sociale nella logica di “equilibrio e egemonia”. Forse il politico toscano riuscirà nell’impresa di dimostrare, non in teoria ma nei fatti, come la ferma determinazione di contrastare qualsiasi parvenza di disegni egemonici, anche quelli che si vedono solo nello specchietto retrovisore, possa indurre un partito che ha una posizione centrale nella geografia del potere politico o di ciò che ne resta, a lasciarsi dolcemente affondare. Si vedrà, ma potrebbe essere uno spettacolo avvincente.

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