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Vi racconto la fiera dei grillismi su Fioramonti. I Graffi di Damato

Fatti, interpretazioni e scenari sulle dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti dall'Istruzione e dalla Ricerca nella nota politica di Francesco Damato

L’ultima o penultima grana politica dell’anno – si vedrà – porta dunque il nome del dimissionario ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Che se n’è andato, per sua fortuna, non per non essere riuscito a fare rimuovere i crocifissi appesi alle pareti delle aule scolastiche, come avrebbe voluto esibendo i suoi muscoli laici, ma più banalmente per avere mancato non si sa bene di quante centinaia di milioni di euro l’obiettivo prefissosi di strappare nel bilancio tre miliardi all’avarissimo superministro piddino dell’Economia Roberto Gualtieri. Il quale già di suo cammina, anzi marcia col petto in fuori e braccia vigorosamente tese, ma nel caso del confronto con Fioramonti avrebbe avuto un sovrappiù di baldanza, secondo il dimissionario, perché sicuro dello scarso interesse mostrato per la sua sorte dal capo ancòra del movimento pentastellato di appartenenza dell’ex ministro, cioè Luigi Di Maio. Cui non a caso i giornali hanno attribuito, sinora senza alcuna smentita o precisazione, la convinzione che a questo punto “una scissione possa essere un bene”, se davvero Fioramonti dovesse andarsene anche dal partito e mettere insieme alla Camera un gruppo di dissidenti, come si vocifera.

Più che da foto o da analisi, il caso Fioramonti è da vignette. La scelta è fra quella di Emilio Giannelli, sulla prima pagina del Corriere della Sera, che rappresenta l’ex ministro con un nodoso bastone fra le mani dopo avere tramortito Di Maio facendogli saltare le stelle da tutte le mostrine cucitegli addosso da Beppe Grillo, e quella di Riccardo Mannelli. Che sul Fatto Quotidiano, dove si ritiene che dei grillini sappiano più di tutti gli altri giornali messi insieme, ha rappresentato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte molto su di giri per il crescente numero di persone cui riesce a piacere, compreso Fioramonti. Che vorrebbe mettergli a disposizione il gruppo di dissidenti attribuitogli dai retroscenisti perché il capo del governo si possa difendere meglio non dalle opposizioni di centrodestra ma dai sabotatori interni alla maggioranza: dagli odiati renziani, naturalmente, ai grillini di strettissima vicinanza a Di Maio.

In verità, la visione almeno apparentemente deducibile dalla vignetta di Mannelli non sembra confermata dalle notizie provenienti da Palazzo Chigi, dove si parla di un Conte più infastidito e preoccupato che soddisfatto e vanitoso dei consensi vecchi e nuovi che raccoglie in giro: più infastidito e preoccupato persino del suo estimatore e direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio. Che in un editoriale dei suoi, intinto più del solito nel veleno dell’attacco al reprobo di giornata, ha sfottuto i Fioramonti di turno come “gli ultimi Solgenitsin” dell’ormai defunta Unione Sovietica. E al ministro dimissionario ha rimproverato, più in particolare, i poco commendevoli primati conquistati col misero 1,37 per cento di partecipazione alle votazioni parlamentari e l’abbondantissimo 98,63 per cento di assenze, per missione o altro: cifre più da somaro, con le orecchie grosse, che da professore, per quanto della lontana Pretoria.

Non parliamo poi delle insolvenze associative ed economiche, diciamo così, che già hanno contestato a Lorenzo Fioramonti i tesorieri, cassieri e quant’altri del movimento di cui l’ex ministro avrebbe pertanto abusato. Finalmente abbandonati gli uffici ministeriali di viale Trastevere, egli sarebbe ormai più da pasto in un Colosseo tornato ai suoi fasti, con le belve tutte ben affamate, che da pergamena di una qualsiasi scuola del nostro sfortunato pianeta.

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