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Vi racconto il Paolo Rossi del Perugia Calcio

Il Paolo Rossi del Perugia Calcio visto da Paola Sacchi

 

È morto Paolo Rossi, “Pablito”. Il campione del mondo 1982. Di cui, oltre alla finalissima con la Germania, indelebile resta il ricordo di Italia-Brasile. La partita che precedette il gran finale di “Azzurri, oggi o mai più”. La partita del Mundial in Spagna, che, con quella sua “schicchera” di goal, lavò l’onta della tremenda sconfitta della finalissima Brasile-Italia del 4 a 1 pareggiato miracolosamente da Roberto Boninsegna “Bonimba” a “Mexico” 70 nel primo tempo prima che fosse la disfatta degli “eroi”, stremati, dell’Azteca, “El partido del siglo”, Italia-Germania 4 a 3. Ma Rossi non era solo il campione del mondo. Ci diventò da campione della provincia italiana, dal Lanerossi Vicenza, ancora ragazzino, al Perugia calcio. Incrociai “Pablito” da giornalista, molto giovane anche io, di un’ importante tv dell’Umbria. Rossi, ingaggiato, con una mossa geniale, dall’allora presidente del club Franco D’Attoma, nella squadra di Ilario Castagner, già vice campione d’Italia, già con un record nell’essere imbattuta, dette ulteriore lustro e gloria a una città di provincia, per quanto capoluogo di Regione. Erano gli anni in cui il Perugia calcio era ancora sotto shock per la scomparsa del piccolo-grande Renato Curi, morto ventenne, una domenica di fango e pioggia a Pian di Massiano, quando cadde a terra, in mezzo al campo, colpito da un infarto del suo “cuore matto”. Quello si chiama ormai da tanti anni lo stadio “Curi”. Ma forse, chissà, idealmente si potrebbe chiamare anche “Curi – Rossi” che venne a Perugia, pure in quel caso, come per un suo strano destino, a porre riparo a un brutto torto della sorte. “Pablito”, vicecampione d’Italia, era un ragazzino, agile e sgusciante, che spesso te lo ritrovavi a Umbria tv. Stavamo noi giornalisti tutti in uno stanzone, compresa Radio Perugia1.

Lui veniva lì e aspettava paziente il suo turno per le interviste, ma soprattutto si incuriosiva del nostro lavoro in altri settori come sulle sedute del Consiglio regionale o le vertenze della Perugina. Un giorno, ricordo, andavo particolarmente di corsa e, allora in tempi in cui si fumava ancora ovunque, chiesi incautamente, a bruciapelo, a un ragazzino, visto di spalle, con aria dimessa, da me scambiato per un fattorino o l’assistente di un operatore, con la sigaretta pronta in mano: “Oh, che mi fai accendere?!”. Il ragazzino, vestito casual, con toni sul beige, subito porse la sua mano con un cerino acceso. Allora si usavano ancora i cerini. Un collega mi si avvicinò: “Sei matta? Guarda che è Rossi”. “Pablito” sorrise simpaticamente. Contribuì a far vivere al capoluogo umbro un sogno, che non si ripeté più.

Ci fu purtroppo la vicenda del “Calcioscommesse”, dalla quale lui si dichiarò sempre estraneo. E anche quella andrebbe raccontata davvero tutta, perché, seppur seguii il caso solo di riflesso, lui, come sostennero colleghi molto più esperti di me e come ieri veniva ricordato su Twitter, ne fu solo sfiorato e tirato in ballo perché non disse di aver ricevuto proposte che peraltro rifiutò. Fu squalificato ma tornò Mundial. E intatta resta l’immagine del ragazzino che andò per gradi, facendo prima sognare la provincia e poi l’Italia intera. Forse è questo il calcio migliore, quello che iniziò accendendo prima le luci degli stadi nei piccoli e tanti campanili, di cui la penisola è tappezzata, come fece Gigi Riva con il piccolo Cagliari che diventò campione d’Italia, per far sognare poi il Paese intero. Storie di piccole, medie città che forse senza essere baciate dalla fortuna di avere nelle loro squadre un ragazzino dimesso futuro campione del mondo oggi sarebbero meno importanti.

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