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Giorgetti

Vi racconto il groviglio poco armonioso fra Parlamento e Quirinale

L’handicap di queste Camere alle prese con la scadenza del Quirinale. I Graffi di Damato

 

Finalmente. Era ora che qualcuno sui giornali si accorgesse, o finisse di fingere di non essersi accorto del grave handicap in cui si trova questo Parlamento -nato dalle urne del 2018- nell’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale: un handicap in parte involontario, essendo cambiati casualmente, diciamo così, i rapporti di forza iniziali fra i gruppi – con più di 250 trasmigrazioni, fra deputati e senatori- e in parte voluto con imperdonabile leggerezza, quanto meno, dai grillini. I quali, ottenuta fortunosamente più di quattro anni fa la maggioranza relativa dei voti, come i democristiani di una volta, vollero subito segare le gambe alle Camere tagliandone i seggi di un terzo, per cui il Parlamento ha subìto un invecchiamento precoce.

Rispetto alle Camere dimagrite della prossima legislatura, non più tardi della primavera del 2023, queste che stanno per essere convocate per la successione al Quirinale sono vecchie, flaccide, decadenti, se si offendono -con i loro presidenti- ad essere considerate decadute. E in queste condizioni- ripeto- sono chiamate ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica destinato a rimanere in carica sino al 2030, trasmettendogli -direi- un vizio di rappresentanza.

Eppure -ha osservato giustamente il professore Giovanni Diamante oggi sul Messaggero citando una recente rilevazione di Demos- “ben 63 italiani su 100 dichiarano di avere molta o abbastanza fiducia nel Presidente della Repubblica: un dato in crescita di cinque punti sull’anno scorso. Il parlamento -ha continuato con la minuscola il professore a contratto- non supera il 23 per cento, in linea col dato del 2020, mentre i partiti, seppure in crescita, sono sostenuti dal 13 per cento dei cittadini”. Sono numeri che parlano da soli e portano a condividere il titolo di richiamo in prima pagina che Il Messaggero ha dato all’articolo del suo collaboratore: “Il Quirinale e il voto di un Parlamento distante dal Paese”.

Ancora più chiaro e impietoso è il titolo interno del quotidiano romano: “Ma la scelta del Presidente sarà fatta da un Parlamento mai così distante dal Paese”. Ripeto: mai così distante dal Paese, che nel frattempo è stato investito da emergenze così gravi – sanitaria, economica e sociale – da avere salutato con un sospiro di sollievo il sostanziale commissariamento della politica avvenuto con la formazione del governo di Mario Draghi. Cui il Parlamento ha accordato la fiducia senza rendersi conto che, in realtà. a giocare di più è stata la fiducia accordatagli da Draghi, come ha scritto qualche costituzionalista disincantato.

In questa situazione, con i partiti o coalizioni divisi fra di loro e al loro interno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella continua a ricevere richieste e incoraggiamenti dal pubblico – ieri a Firenze, come il 7 dicembre a Milano, nel contesto di un evento musicale – ma anche a lanciare segnali, pur ogni tanto contraddetti da silenzi, di indisponibilità ad una soluzione di onorevole compromesso, o onorevole uscita dall’impasse di natura politica e istituzionale in cui ci troviamo. Mi riferisco ad una rielezione a termine del presidente uscente, per quanto ignorata -e perciò non impedita dalla Costituzione- per consentire alle Camere nuove, e più rappresentative del Paese, la scelta del suo successore.

Per fortuna – l’unica per ora – il conto alla rovescia verso le votazioni parlamentari previste attorno al 24 gennaio per l’elezione del presidente della Repubblica è lunghetto, diciamo così. Spero che non venga sprecato.

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