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No Global

Vi racconto il fallimento dei sognatori anti G8 e dintorni

L’articolo di Giuseppe Gagliano

Come ricordano con entusiasmo Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci — autori del saggio “L’eclissi della democrazia. Dal G-8 di Genova a oggi: un altro mondo è necessario” (Feltrinelli, 2021) — nel capitolo ottavo intitolato “Alter mondialista, per forza” il 15 febbraio del 2003 si riunì una marea umana da Oriente a Occidente per protestare contro il neoliberismo, il capitalismo ma soprattutto per protestare contro la guerra.

I numeri furono talmente impressionanti — nella sola Roma si riunirono infatti 3 milioni di persone — che il Times alludendo al movimento pacifista lo definì una seconda superpotenza mondiale.

A seguire ci saranno i forum di Porto Alegre in Brasile al quale parteciperanno i movimenti più importanti dell’America latina fra i quali per esempio i Cut, i Sem terra etc.

Ci sarà un altro forum di analoga importanza e cioè quello sociale europeo che si svolgerà a Firenze nel 2002 e anche in questo contesto vi saranno manifestazioni, pannelli di discussioni, assemblee autogestite secondo una liturgia di chiara derivazione sessantottina caratterizzata da sit-in, infinite discussioni, infiniti contrasti dialettici sulle analisi e sulle alternative da perseguire in funzione anticapitalista.

Vi sarà un terzo forum che si svolgerà sempre in Brasile nel 2003 al quale parteciperanno 80.000 persone. I principali bersagli saranno il Fmi e la Word Trade organization (che mi risulta godono di ottima salute…).

Tuttavia il bersaglio comune di queste riunioni europee ed extra europee sarà ancora una volta il capitalismo, saranno ancora una volta l’industria delle armi, il sistema bancario. Negli anni successivi ci saranno altri movimenti più circoscritti ma non meno radicali nei loro contenuti e spesso nelle loro proposte: alludiamo al movimento Occupy Wall Street sorto a New York e al movimento spagnolo del 2011 noto come movimento degli indignati.

Al di là delle entusiastiche prese di posizione da parte gli autori manca da parte loro la consapevolezza che i contenuti come le proposte di questi movimenti non hanno saputo né modificare ma neppure intaccare e/o scalfire le oligarchie capitalistiche globali che al contrario negli ultimi vent’anni si sono rafforzate come, seppure implicitamente, riconoscono gli stessi autori quando affermano che le spese militari globali nel 2019 hanno raggiunto quota 917 miliardi di dollari, un livello questo che non si vedeva dai tempi della guerra fredda, come dimostra il potere dell’industria dei BigPharma che si è rafforzato grazie alla Covid-19 (e senza le quali non sarebbe stato possibile nel giro di poco tempo costruire dei vaccini efficaci), come dimostra il capitalismo digitale “con la vertiginosa ascesa di aziende come Facebook, Apple, Alphabet, Amazon“ e aggiungiamo noi la cinese Alibaba.

Insomma — riconoscono gli autori — con le big tech e big data, si è aperta una nuova stagione di crescita economica e di dominio planetario. Ma d’altra parte neppure le industrie petrolifere, l’incarnazione stessa del male, sembrano improvvisamente essersi convertiti alla filosofia della pace e dell’amore.

In realtà — a distanza di vent’anni — le alternative — giuste o meno che siano — indicate dal movimento no global o come lo chiamano i francesi alter mondialista non solo non si sono attuate ma i nemici di questi movimenti si sono rafforzati e altre oligarchie sono sorte dominando a livello planetario e prendendo il posto di quelle tradizionali (ieri i banchieri genovesi, i Medici, i Fugger oggi i Rockfeller, i Rothschild, Gates etc).

Le guerre per le risorse — da quelle idriche, a quelle petrolifere a quelle delle terre rare — sono proseguite; il terrorismo islamista si è globalizzato. La competizione tra Stati sia nel Mediterraneo che nel Mar cinese ci sono palesate in modo sempre più evidente. Nuove guerre si sono manifestate da quella economica tra Stati Uniti e Cina a quella cibernetica posta in essere anche dalla Corea del Nord, dalla Cina, dalla Russia contro gli Usa e l’Ue. L’innovazione tecnologica nel campo dell’industria degli armamenti è andata avanti. Insomma le grandi linee di forza, di potere sono rimaste pressoché inalterate.

Gli infiniti dibattiti autoreferenziali dentro il mondo accademico — che ha contribuito a elaborare spesso i contenuti del movimento no global e al di fuori di esso — sui testi sacri — da quelli di Marx a Foucault, da quelli di Deleuze a quelli di Guattari, non hanno condotto ad altro che ad inutili pubblicazioni e riviste che hanno riempito le biblioteche e le librerie senza contribuire in alcun modo ad alterare concretamente le dinamiche di potere della realtà.

Ebbene tutto ciò non può che avere un significato preciso: significa che sia le diagnosi fatte sia le soluzioni proposte da questi movimenti si sono rivelate fallimentari e il mancato riconoscimento di questo fallimento da parte degli autori del volume costituisce un esempio evidente di come non siano stati compresi i meccanismi reali del potere. Ma soprattutto costituisce una dimostrazione di arroganza tipica — sottolineano a noi — di chi ha una visione fortemente ideologica della realtà e quindi fortemente dicotomica.

Ammesso che la democrazia, come viene intesa degli autori, si sia mai realizzata nel mondo reale, l’unica eclisse evidente è quella del movimento no global e dei protagonisti che lo hanno animato. Difficile non ricordare le pagine di Le Monde Diplomatique e del manifesto che inneggiavano nei loro titoli come nei loro articoli a un cambiamento epocale analogo per certi versi a quello che si propose inizialmente il cristianesimo. Se in questi vent’anni non sono certo sorti nuovi santi — nonostante la beatificazione che fu fatta a livello internazionale del subcomandante Marcos — in compenso sono nati nuovi miliardari come Bill Gates e Elon Musk.

Di analogo interesse è il volume edito da “Derive Approdi Gli autonomi. I padovani. Dagli anni 80 al G8 di Genova 2001”. Il volume ripercorre in termini biografici la storia di cinque esponenti dell’autonomia padovana e, in modo particolare, delle loro lotte antagoniste che hanno caratterizzato gli anni 70 e gli anni 90.

Al di là delle letture saggistiche comuni a questi autori, quello che mi preme sottolineare è il ruolo che le scuole superiori e le istituzioni universitarie hanno avuto alla fine degli anni 70 nella formazione della militanza della sinistra extraparlamentare e, nello specifico, di quella dell’autonomia; un altro elemento comune sono le le continue manifestazioni in Italia e all’estero, gli infiniti dibattiti, le occupazioni, le autogestioni. In altri termini: la vita come militanza politica a 360°.

Il terzo elemento che emerge prepotentemente è legato alla possibilità di innestare un processo rivoluzionario su scala globale: di qui la presenza di questi militanti in Nicaragua alla fine degli anni 70 o nel Messico accanto al subcomandante Marcos il nuovo Che Guevara. Ed ancora: le lotte tutt’altro che non violente per le case popolari, le lotte all’interno del carcere femminile di Voghera, le lotte all’interno del coordinamento nazionale antinucleare e antiimperialista nei primi anni 80, le lotte contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso, le critiche feroci al trasformismo del Pci (che condividiamo e sottoscriviamo perché analogo a quello del sessantotto), la centralità della libreria milanese Calusca e quindi di Primo Moroni, il blocco degli impianti di Montalto con i relativi scontri ed arresti, la denuncia del nucleare come l’esempio migliore dell’uso capitalistico della scienza della tecnologia, la solidarietà verso il fronte popolare per la liberazione della Palestina come verso l’intifada, l’appoggio nei confronti del congresso pan africanista di Robert Sobukwe. Ma soprattutto centrale appare l’esperienza Zapatista nei primi anni 90, che fu attuata per la prima volta non tanto dagli autonomi padovani quanto dai compagni del Leoncavallo di Milano e del centro sociale cortocircuito di Roma.

Insomma dopo l’ennesima delusione legata al vecchio internazionalismo e cioè a quello stile Italia-Cuba nasce la speranza di un nuovo internazionalismo con l’associazione Ya Basta.

Meritano inoltre di essere sottolineare le lotte senza quartiere contro la Lega — che sarebbe poi diventata forza di governo sia con Berlusconi che con l’attuale PD — al di là di ogni possibile previsione da parte gli antagonisti. Una militanza la loro caratterizzata non solo da dibattiti ma da momenti musicali come quello con i Litfiba, da manifestazioni che si alternano dentro l’università, dentro le piazze ma soprattutto dentro i centri sociali. Le proteste contro i centri di permanenza temporanea, veri e propri lager per migranti, le proteste contro l’incarceramento di Ocalan da parte della Turchia, le proteste contro le basi militari per la guerra nei Balcani, l’uso di scudi e gommoni contro la polizia sono altri fondamentali aspetti della loro militanza. Ma anche più recentemente e cioè negli anni 2000 le proteste contro le multinazionali del Bíotech e soprattutto quelle che operano per lo sviluppo dell’uso degli OGM.Insomma gli anni novanta furono gli anni in cui Rifondazione comunista e Bertinotti cavalcavano gli antagonisti diventando un vero e proprio punto di riferimento dentro le istituzioni per tutti questi movimenti. Ma nel saggio non c’è alcun riferimento né a Rfc né al ruolo di trait d’union svolto da Bertinotti. Una omissione casuale?

Anche gli autori di questo volume — potremmo dire soprattutto per gli autori di questo volume — è del tutto assente qualsiasi autocritica cioè è del tutto assente la consapevolezza di come queste lotte che ci sono dispiegate per oltre vent’anni abbiano in gran parte portato soltanto insuccessi più o meno clamorosi sia su scala locale che su scala globale. Lo dimostra un dato che certamente è paradigmatico perché accomuna sia questi autori che gli autori del volume precedente e cioè la centralità del forum di Porto Alegre in Brasile letto come un vero e proprio spartiacque tra il passato che non passa e un futuro utopico.

Ma qual è stato allora l’epilogo di gran parte di questi personaggi? O hanno fatto carriera politica dentro le istituzioni che hanno sempre osteggiato e disprezzato finendo per tradire o comunque riconoscendo implicitamente l’erroneità dei propri punti di vista o si sono fatti qualche anno di carcere, oppure sono rimasti ai margini della realtà politica e sociale che volevano — e vogliono — cambiare.

Questi personaggi hanno fatto insomma una fine analoga a coloro che animarono il sessantotto italiano e francese.

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