skip to Main Content

Giorgetti

Vi racconto i prossimi terremoti politici

Che cosa sta succedendo nei e fra i partiti dopo la rielezione di Mattarella al Quirinale

 

Terminata finalmente la distrazione di Sanremo, al cui lungo festival canoro se non riesci neppure ad affacciarti con qualche invito, citazione, applauso a distanza non sei veramente nessuno; confortati dall’annuncio o dalla promessa militare e civile, rispettivamente del generale Figliuolo e dello scienziato Locatelli, di un ritorno o avvicinamento alla “normalità” dopo l’ennesima ondata di Covid, torniamo più o meno rassegnati all’altra normalità costituita dalla crisi politica derivante dalla confusione fra e nei partiti. Una confusione paradossalmente sopravvissuta, o persino aumentata dopo la pur confortante soluzione trovata all’ultimo momento al problema della successione al Quirinale. Dove è notoriamente rimasto per fortuna Sergio Mattarella.

Basta dare un’occhiata all’ultimo sondaggio elettorale condotto per Repubblica dall’istituto Demos per capire l’entità e le ragioni della crisi fra -ripeto- e nei partiti. Che nei quattro anni di questa legislatura o sono rimasti più o meno fermi o sono dimezzati. Con una sola eccezione, d’accordo: quella di Giorgia Meloni, che con i suoi Fratelli d’Italia è passata dal 4,4 per cento dei voti del 2018 al 20,5 rasentando il pareggio o persino il sorpasso del Pd, a sua volta passato dal 18,7 al 20,8. Ma come “Giorgia”, per stare al nome che l’interessata grida orgogliosamente nelle piazze, voglia ma soprattutto possa investire il suo successo è difficile immaginare: da sola continua ad avere troppo poco, come tutti gli altri del resto, per governare. Insieme con gli alleati del 2018 e quelli ancora operanti nelle amministrazioni regionali e comunali sembra quanto meno difficile dopo che lei stessa ha annunciato la fine del centrodestra, pur proponendosi di rifondarlo: una fine appena confermata da Matteo Salvini con l’immagine della “neve sciolta al sole”. Che non è peraltro quello della Lega dello stesso Salvini, partita nel 2018 col 17,4 per cento dei voti, salita l’anno dopo al 34,3 delle elezioni europee e ridiscesa esattamente al 17,4 rilevato in questo mese da Demos, appunto.

E a Salvini è andata pure bene nel centrodestra rispetto al partito una volta egemone di Silvio Berlusconi, sceso progressivamente dal 14 per cento del 2018 all’8,8 delle europee del 2019, al 7,7 dell’autunno scorso e al 7,6 di questo febbraio: una discesa aggravata dalla forzata rinuncia alla scalata così ostinatamente tentata dal Cavaliere al Quirinale, per fortuna neppure arrivata alla prova degli scrutini parlamentari perché non avrebbe fatto -credo- una fine diversa dalla bocciatura rimediata dalla presidente forzista del Senato Maria Elisabetta eccetera.

Gli stracci finora volati nel centrodestra -con quell’”ingrata” appena data alla Meloni dalla senatrice di turno assistente di Berlusconi- sono niente di fronte a quelli che potranno seguire man mano che si svilupperanno col concorso diretto o indiretto dello stesso Berlusconi i lavori nel cantiere centrista, da cui “Giorgia”, ricambiata, vuole tenersi lontana.

Oltre al partito di Berlusconi si è dimezzato dal 2018 quello delle 5 Stelle, sceso dal 32,7 dei tempi di Luigi Di Maio al 15,6 di questo febbraio di Giuseppe Conte. Al quale lo stesso Di Maio ha contestato pubblicamente la debacle quirinalizia della candidata Elisabetta Belloni, per quanto responsabile dei servizi segreti. Un Di Maio declassato dal solito Marco Travaglio a Di Mario, nel senso di adoratore politico del presidente del Consiglio Mario Draghi. “Guerre stellari” le ha chiamate lo stesso Fatto Quotidiano nel titolo di prima pagina di oggi.

Back To Top