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Giorgetti

Vi racconto gli ultimi giochetti su Draghi fra G20 e Quirinale

Subbugli politici e di carta su Mario Draghi. I Graffi di Damato

 

Mentre Mario Draghi raggiungeva a Glasgow la conferenza delle Nazioni Unite sul clima per sottolinearne la continuità rispetto al G20 da lui appena presieduto a Roma, anche il leader leghista Matteo Salvini lo accreditava per l’elezione al Quirinale, come aveva fatto da poco Giuseppe Conte, dissipandone tuttavia i timori di un conseguente scioglimento anticipato delle Camere. Che pure per l’ex vice di Conte a Palazzo Chigi, ai tempi della maggioranza gialloverde, dovrebbero essere rinnovate alla scadenza ordinaria del 2023: non foss’altro per evitare, anche se Salvini ha voluto evitare di dirlo esplicitamente, di regalare al segretario del Pd Enrico Letta e ad altri timorosi delle reazioni dei magistrati di fare rinviare col ricorso anticipato alle urne i referendum di primavera sulla giustizia. Che, in verità, non piacciono neppure a Conte, sensibile agli umori della “casta” togata, com’è ormai avvertita anche da Sergio Mattarella nei richiami ad una salutare “rigenerazione”, ma costretto a scegliere i referendum come male minore rispetto ad un turno elettorale tanto ravvicinato quanto esiziale per il suo MoVimento 5 Stelle.

L’uscita di Salvini a favore di Draghi al Quirinale e contro le elezioni anticipate rompe l’unità del centrodestra recentemente annunciata dopo due vertici nella villa romana di Silvio Berlusconi. Che non si è mai formalmente candidato al Quirinale, come notava qualche giorno fa il suo vice Antonio Tajani alla presidenza di Forza Italia, ma si è lasciato implicitamente coinvolgere, diciamo così, nella corsa dicendo pubblicamente, non in qualche colloquio privato, di “non volersi tirare indietro” dalla possibilità di essere ancora “utile” – ha detto – al Paese. E l’utilità di una pur improbabile, difficile e quant’altro salita dell’ex presidente del Consiglio al Colle è stata spiegata sul Giornale di famiglia dal direttore Augusto Minzolini nella prospettiva anche di una “pacificazione” del Paese dopo tutti gli scontri politici di cui Berlusconi è stato partecipe, quanto meno.

Che pacificazione ci sarebbe – ha chiesto proprio oggi Minzolini, tornando a scrivere della corsa al Quirinale ma evitando di polemizzare direttamente con Salvini, ignorato nel suo nuovo editoriale – se alla Presidenza della Repubblica dovesse arrivare uno come Draghi? Bravissimo, per carità, anche se reduce da un G20 un po’ troppo esaltato nelle sue conclusioni, ma rimasto rigorosamente estraneo alle lotte politiche della prima e della cosiddetta seconda Repubblica. Sarebbe l’ora di un politico, non di un tecnico, al Quirinale: E di un politico – ripeto – con le cicatrici della guerra politica addosso. “Avrebbe sicuramente più senso per l’uomo che ora ha i favori del mondo guidare il Paese da Palazzo Chigi per ammodernarlo”, ha concluso il direttore del Giornale. Che meglio non avrebbe forse potuto sostenere – gli va riconosciuto considerando i limiti formali dei poteri del capo dello Stato in una Repubblica ancora parlamentare – una corsa dalla quale Berlusconi non ha ancora ritenuto di “tirarsi indietro”, per restare al suo linguaggio usato non credo a caso, avendo egli maturato una certa esperienza anche in politica.

Certo è che fa una certa impressione vedere allineati giornali così opposti politicamente come La Verità di Maurizio Belpietro a destra e del Fatto Quotidiano a sinistra convergere su un giudizio assai negativo sul G20 pur di ridimensionare l’ornai quirinabile Draghi. Che sarebbe “sommerso dalla melassa per un nulla di fatto”, ha titolato Belpietro. “Il flop trionfale”, ha titolato il suo editoriale Marco Travaglio.

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