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Giorgetti

Perché Conte a sorpresa apre su Draghi al Quirinale dopo il G20

I primi effetti in politica interna del G20 a Roma. Che cosa ha detto Conte di Draghi

 

Questa volta Giuseppe Conte non ha voluto farsi cogliere di sorpresa, anche se non deve mettere in salvo niente, non dovendo difendere né la sua rimpianta postazione di Palazzo Chigi né una candidatura per quanto spericolata al Quirinale, svanita assieme alla guida del governo.

Prima ancora che Mario Draghi chiudesse formalmente il “suo” G20 con una conferenza stampa sulla “straordinarietà” – ha detto – dei risultati, per quanto siano mancati impegni precisi e vincolanti sulla vertenza delle vertenze che può definirsi la questione del clima, Giuseppe Conte lo ha a suo modo candidato anche lui al Quirinale. Lo ha fatto anche a costo di lasciare a bocca aperta Lucia Annunziata, che lo intervistava a Rai 3 ed era rimasta ferma alla cautela con la quale il presidente del MoVimento 5 Stelle affrontava il tema della successione a Sergio Mattarella, definendo prematura ogni ipotesi su cui lavorare.

L’ex presidente del Consiglio ha capito che Draghi, rafforzato nel suoi prestigio internazionale riconosciuto da tutti, proprio tutti gli interlocutori del summit, ha ormai buone carte e possibilità di continuare da un’altra postazione il lavoro di ripresa del Paese e di rigenerazione della politica affidatogli a febbraio. Potrà magari affidare Palazzo Chigi al suo attuale ministro dell’Economia Daniele Franco. “Daniele”, lo ha amichevolmente chiamato lo stesso Draghi nella conferenza stampa conclusiva del G20 invitandolo a correggerlo nella improbabile eventualità di errori nel quantificare le risorse che potranno essere liberate dopo il confronto costruttivo fra i grandi della terra: altro che i perditempo derisi dal solito Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano ancora in lutto, diciamo così, per il “Conticidio” commesso al Quirinale e dintorni all’inizio di questo dannatissimo anno.

Ha capito, il Conte comunque sopravvissuto al delitto come capo del MoVimento che lo portò nel 2018 alla guida del governo, che Draghi ha tutta la competenza e il prestigio internazionale per salire al Quirinale. Non è l’uomo “stanco”, quasi rinunciatario ch’egli ebbe l’imprudenza di descrivere nei mesi scorsi, cercando di esorcizzare dal suo ufficio di presidente del Consiglio l’ipotesi ancora tutta o prevalentemente giornalistica dell’arrivo in quella stanza dell’ex presidente della Banca Centrale Europea: stanco sì, ma forse solo di aspettare, impegnato solo nell’Accademia Pontificia delle Scienze alla quale lo aveva nominato Papa Francesco.

L’unica cosa che Conte ha praticamente chiesto a Draghi sulla strada del Quirinale, come condizione per concorrere alla scalata del Colle, come ha titolato Libero, è di non sciogliere le Camere ma di aspettarne pazientemente la scadenza ordinaria l’anno dopo. Non abbiamo alcuna fretta di andare a votare, ha detto l’ex presidente del Consiglio. E c’è da capirlo con tutti i guai che egli ha in casa, dove sa bene che Beppe Grillo è il suo “garante”, ma lo è anche, se non di più, di quelli che non sono molto soddisfatti, diciamo così, di come vadano le cose, nelle urne e nell’attuale Parlamento, col MoVimento affidato alle sue redini. E con un alleato più potenziale che effettivo com’è diventato il Pd di Enrico Letta dopo le prove elettorali di ottobre e, soprattutto i ballottaggi comunali. In cui il “trionfo” troppo baldanzosamente vantato al Nazareno si è praticamente sgonfiato nell’aula del Senato con l’incidente sulla legge contro l’omotransfobia, penosamente attribuito tutto e solo alla solita perfidia dell’altrettanto solito Matteo Renzi.

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