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Nord Stream 2

Vi racconto come la Germania brinda per la rottamazione di Trump e la vittoria di Biden

Tutti gli entusiasmi in Germania - fra governo e media - dopo l'elezione di Joe Biden negli Stati Uniti e la sconfitta di Donald Trump. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Un nuovo inizio nei rapporti fra Europa e Usa è necessario per affrontare insieme le sfide del XXI secolo, ma l’Europa deve assumersi quella maggiore responsabilità che l’America a ragione richiede. È un doppio messaggio quello che Angela Merkel indirizza alla futura amministrazione Usa nel momento in cui ufficialmente si congratula con i vincitori: Joe Biden e Kemala Harris, quest’ultima nominata con particolare enfasi. C’è la richiesta di un nuovo inizio, dopo i quattro anni turbolenti con Trump, e una promessa di maggiore impegno da parte europea, e tedesca. Ma nel momento in cui riconosce una ragione alle pressioni Usa degli ultimi anni (e quindi nel contenuto anche a quelle di Trump), la cancelliera non concede nulla alle critiche americane sulla vaghezza degli impegni europei: su questa strada ci siamo già avviati, sostiene invece Merkel.

Un caso su tutti, quello delle spese militari per la Nato dei paesi aderenti che dovrebbero raggiungere il 2% entro il 2024: la Germania è salita all’1,37% nell’anno in corso ma difficilmente raggiungerà l’obiettivo fissato.

Merkel ha ricordato i “buoni incontri di lavoro” con Biden quando era vicepresidente di Obama, ha sottolineato la sua lunga esperienza politica e la conoscenza dell’Europa e della Germania. Ha poi citato con particolare calore la sua futura vice, Kamala Harris, la cui elezione è “un’ispirazione per molte persone e un esempio delle opportunità dell’America”.

Aveva suscitato qualche interrogativo lo spostamento della dichiarazione pubblica di Merkel, inizialmente fissata per il pomeriggio di domenica 8 e poi spostata a lunedì 9 novembre. Ma le sue frasi non hanno di fatto aggiunto nulla di nuovo al primo messaggio di auguri inviato sabato scorso attraverso il suo portavoce, poco dopo che le principali catene televisive americane avevano annunciato il superamento da parte di Biden dei fatidici 270 grandi elettori. Non aveva atteso l’ufficialità delle istituzioni, come invece sta facendo l’Ue.

Fonti politiche lasciano intuire che la cancelliera abbia voluto congratularsi con i vincitori nel giorno simbolico del 9 novembre, in cui la Germania commemora la tragedia della notte dei cristalli del 1938 e la gioia della caduta del Muro di Berlino del 1989. E a questo ultimo evento Merkel ha agganciato la parte politica delle sue congratulazioni, ricordando il ruolo decisivo avuto dagli Stati Uniti nel processo di riunificazione tedesco.

Riprendere la collaborazione è la via obbligata perché il rapporto transatlantico “è un tesoro comune”, fondato su valori, interessi e difesa comune (la Nato). Le sfide che la cancelliera elenca fanno parte del portafoglio programmatico del merkelismo, aggiornato agli ultimi eventi: pandemia, surriscaldamento climatico, terrorismo, libero commercio. Tolto di mezzo l’ingombro di Donald Trump, che Merkel non cita nemmeno una volta e al quale non riserva neppure l’onore delle armi, ci si può rimettere attorno al tavolo e ragionare insieme su come rimodellare un’alleanza che Berlino continua a ritenere decisiva, nonostante sul piano dei rapporti energetici ed economici i tavoli tedeschi siano molteplici (Russia, Cina).

D’altronde con nessun presidente americano i rapporti erano stati tanto tesi come con Trump. Conferenze stampa congiunte sofferte, strette di mano mancate, sorrisi sarcastici: nessun feeling tra due caratteri e due stili di governo troppo contrapposti e nessun accomodamento sui temi che dividono i due vecchi alleati: gli squilibri commerciali, Nord Stream 2, gli stretti legami economici tra Berlino e Pechino, il braccino corto nelle quote tedesche per la Nato.

Eppure, nonostante queste rimostranze americane non siano nate con Trump, nei suoi anni di cancellierato Merkel era stata capace di sintonizzarsi sulle diverse frequenze dei due precedenti presidenti. Sia con Barack Obama, con il quale aveva costruito un rapporto di fiducia e simpatia, nonostante lo scandalo dello spionaggio Usa del mondo politico e imprenditoriale tedesco (emerse che lo stesso cellulare della cancelliera era spiato dagli americani), che con George W. Bush, non molto amato da stampa e opinione pubblica tedesca per l’intervento militare in Iraq. Nel 2005 fu lei a risanare le lacerazioni prodotte dallo strappo sull’Iraq di Gerhard Schröder. Ora Merkel rilancia sull’altra sponda dell’Atlantico la fune del dialogo, anche se in verità non toccherà a lei gestire la nuova fase dei rapporti con gli Usa.

Non sarà lei a costruire il rapporto fra Germania e Usa e neppure fra Europa e Usa ai tempi di Biden. La presidenza tedesca del semestre europeo si chiude fra meno di due mesi, prima dell’insediamento del nuovo presidente. E l’orizzonte politico di Merkel ha già la sua data di scadenza nel prossimo autunno, quando i tedeschi andranno alle urne per eleggere il nuovo parlamento e lei non sarà più candidata. Ma il tono iniziale sarà ancora lei a darlo e sarà la sua ultima eredità: l’impostazione del quadro entro il quale i conflitti maturati negli ultimi anni tra Washington e Berlino (e anche Bruxelles) potranno essere composti.

Cauto ottimismo ha espresso anche il ministro dell’Economia Peter Altmaier, in prima fila in questi anni sul fronte della guerra commerciale: i dazi punitivi imposti da Trump in risposta agli squilibri commerciali hanno danneggiato le relazioni tra Usa e Germania. Ora si tratta di rimettere ordine alla politica commerciale internazionale, sostiene Altmaier, attraverso un esteso accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti e puntare al rientro di Washington negli accordi sul clima di Parigi, “importante non solo per l’economia ma per tutto il pianeta”.

L’ottimismo del governo riflette anche quello delle principali testate giornalistiche. La Frankfurter Allgemeine Zeitung parla di “respiro di sollievo” e sottolinea i punti in comune con il nuovo presidente: multilateralismo, valori, fiducia nella Nato. Ma le frizioni restano, non scompaiono con il cambio di personale alla Casa Bianca: quote Nato, squilibrio della bilancia commerciale, Russia e Nord Stream 2 saranno elementi di discordia anche con Biden. la differenza, prosegue il quotidiano conservatore, è che “ora è possibile un chiarimento ragionevole”. La Ue, dal canto suo, deve comprendere che un ritorno allo “status quo ante” non è più possibile, l’America non garantirà da sola la sicurezza dell’Alleanza mentre i paesi europei si decidano al benessere economico. Il rapporto transatlantico va riequilibrato, le priorità anche geografiche sono cambiate, conclude la Faz, ma rispetto alla “disruption” trumpiuana il riequilibrio “può essere il risultato di una nuova partnership e non di una disgregazione totale”.

Anche l’Handelsblatt, dopo aver riportato le dichiarazioni trionfalistiche di mezzo governo berlinese (fra cui quelle del titolare degli Esteri Heiko Maas che si spinge a proporre agli americani “un New Deal” che spazi dal clima ai rapporti con la Cina), evidenzia con l’aiuto di esperti di politica statunitense i noti terreni di conflitto. Un aspetto aggiunto è che le priorità di Biden saranno principalmente legate alla politica interna più che a quella estera e lo stesso neo presidente democratico non si azzarderà a contrattare un accordo commerciale con l’Europa se avvertirà il pericolo di perdere il sostegno di Stati chiave.

Il governo di Grosse Koalition tedesco punta anche sull’omogeneità politica con un’Amministrazione democratica di stampo centrista, ma il vice presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco (appuntamento al quale Biden è un po’ di casa) ammonisce che oltre 70 milioni di elettori hanno comunque votato per Trump: “I politici a Berlino farebbero bene a non troncare i rapporti con il mondo repubblicano americano”, è il suo consiglio.

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