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Vaticano, perché il comandante Giani è stato dimissionato? Fatti e ipotesi

La ragione del repentino dimissionamento del comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, è davvero l'uscita dalle Mura Leonine di un volantino segnaletico per avvertire dell'interdizione cautelativa dallo Stato di cinque dipendenti? E il dimissionamento di Giani – ex ufficiale della Guardia di Finanza – ha qualcosa a che fare con l'imminente Watilikeas annunciato, in uscita questi giorni a firma Gianluigi Nuzzi? Fatti, nomi, domande e approfondimenti

 

Che la ragione del repentino dimissionamento del comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, sia l’uscita dalle Mura Leonine di un volantino segnaletico per avvertire dell’interdizione cautelativa dallo Stato di cinque dipendenti ci crede nessuno.

Certo: a molti è apparso come un foglio alla Wanted in stile Far West. Confezionato con le foto di cinque dipendenti di Segreteria di Stato e Autorità antiriciclaggio (quattro laici e un monsignore), non propriamente misericordioso. Sono nomi e volti di persone “cautelativamente sospese dal servizio”. Innocenti fino a prova contraria di non meglio precisati reati finanziari. Ma – appunto – era una disposizione di servizio destinata ad un uso interno di Gendarmi e Guardia Svizzera. Un banalissimo strumento da controllo di frontiera.

Però è finito sui giornali in un batticiglio. C’è chi giura sia stato faxato all’Espresso, che per primo lo ha reso noto. E Giani, direttore dei servizi di sicurezza del suolo petrino che quella disposizione ha firmato, perde il posto. Non ha individuato la fonte del leaks. Credibile sia per questo? No. Nel frattempo oggi Papa Francesco ha nominato al posto di Giani – come direttore della Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile dello Stato della Città del Vaticano e comandante del Corpo della Gendarmeria – l’ingegner Gianluca Gauzzi Broccoletti, finora vice direttore e vice comandante.

A sollevare il caso del volantino è stato per primo l’autorevole blog Il Sismografo. Vicinissimo alla Santa Sede. Poche ore e la voce ufficiosa del Papa, L’Osservatore Romano, manda in pagina un j’acusse alla stampa per “gogna mediatica” verso i cinque. Non regge. Difatti interviene il Papa. Definisce l’accaduto qualcosa di paragonabile a un “peccato mortale”. Un’escalation di toni solenni. Il Vaticano conferma l’apertura di un’indagine. E a Domenico da Arezzo dopo vent’anni di lavoro per la Santa Sede tocca lasciare.

Stimato e amato, quanto discusso e criticato. Quindi odiato. L’ex ufficiale della Guardia di finanza con un trascorso per i Servizi segreti italiani, del Vaticano conosce ogni centimetro. Accanto alla Giardinetta di Papa Francesco in udienza corre agile nei suoi 57 anni di impeccabile forma. A Roma come nei viaggi internazionali. Iconica l’atletica presa di una esaltata nella Notte di Natale del 2009 che aveva scavalcato le transenne trascinando Papa Ratzinger a terra e provocato la frattura del femore al cardinale Etchegaray.

Sorridente accanto ai Papi che ha servito come capo della polizia vaticana; tenerissimo coi bambini che prende in braccio durante le udienze per avvicinarli al Pontefice. Quanto duro, secondo gli interessati, nel suo ruolo di gendarme giudiziario. Ne ricordano modi bruschi negli interrogatori l’ex maggiordomo di Benedetto XVI – indagato e unico condannato per la fuori uscita di carte dall’Appartamento papale ai tempi del primo Vatileaks (regnava Ratzinger) –; così come Libero Milone, il revisore dei conti vaticani dimissionato due anni fa e mai sostituito (regno Bergoglio). L’ultima vicenda, non chiarita, vede co-protagonista l’ex sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu. A dire del monsignore, Milone stava spiando. Milone era il revisore: cioè controllava affari e lavorava per incarico petrino sulla trasparenza finanziaria della cittadella vaticana. Però Milone – vicino al cardinal Pell – non è mai stato indagato.

Quando un mese fa è scoppiato un ennesimo affaire economico per un investimento immobiliare a Londra da parte della Segreteria di Stato – assolutamente legittimo – forse improprio da quelle affrescate stanze (non era forse più opportuno che di far fruttare i danari si occupassero Ior o meglio la Banca centrale del Vaticano, ovvero l’Apsa, che gestisce il patrimonio della Santa Sede?) Becciu non era più in Terza Loggia. Ma i fatti risalgono all’epoca in cui era ministro dell’Interno vaticano. Fu lui – conferma al Corriere della Sera il partner dell’affare, Raffaele Mincione – a interessarsi in qualche modo dell’investimento. Becciu non è sfiorato minimamente dalle attuali indagini. Elevato alla porpora da Bergoglio, oggi si occupa di faccende celesti. È capo dicastero alla Congregazione dei Santi. Dove pure i candidati alla canonizzazione, oltre alle eroiche virtù, devono confidare in terrestri disponibilità finanziarie di Diocesi o Ordini religiosi che ne finanzino i lunghi e – inevitabilmente costosi – processi.

Giani coi sui gendarmi piombò nell’ufficio di Milone, sequestrando documenti. Su mandato della magistratura vaticana, con dissequestro dei materiali insolitamente firmato da Becciu. Passano gli anni e Giani, ancora su mandato della magistratura, irrompe in Segreteria di Stato. Perquisizioni inedite. Acquisizione di pc, cellulari e carte. Blocco di conti nei confronti di alcuni dipendenti apicali della macchina vaticana.

Pochi giorni dopo la Sala Stampa dà notizia di qualcosa evidentemente apparecchiato da tempo: alla presidenza del Tribunale vaticano succede al giurista Della Torre l’ex procuratore capo di Roma, Pignatone. Da un giurista a un magistrato inquirente in Italia, chiamato a giudicare per conto del successore di Pietro. Ancora qualche foglietto di calendario da girare, e Giani viene invitato alle dimissioni. Per fatti – si racconta – conditi di indispettita reazione da parte del Papa. I fatti? Quei volti nel volantino.

Comunicati a parte, è tutto da decifrare quanto accaduto.

Pignatone si è occupato della sparizione di Emanuela Orlandi. Da magistrato italiano ha chiesto e ottenuta l’archiviazione delle indagini. Oltretevere – giurano – si continua a cercare. Dell’Orlandi si è occupato Giani. Non fosse per gestire preventivamente le diverse manifestazioni organizzate in Piazza San Pietro da chi – si leggeva negli striscioni per niente chiassosi – chiede verità. Giani si è mosso con successo, contenendo i clamori. Ricostruzioni giornalistiche degli ultimi anni danno a firma dell’ormai ex comandante dei gendarmi, la compilazione di un dossier sul caso puntualmente aggiornato e diffuso a chi di competenza. È una notizia che il comandante della polizia interna segua certe faccende? No. Ma fa giornalistico brodo.

E poi, certo, non sono mancati non chiari sconfinamenti della Gendarmeria vaticana oltre le Mura. È il 21 gennaio 2012. Davanti alla chiesa di Sant’Apollinare in Roma, ad una manifestazione non benevola nei confronti del Vaticano – ancora per la vicenda Orlandi – viene avvistato un gendarme vaticano in borghese e di teleobiettivo armato a scattare foto. Chi lo ha autorizzato? La questione aprì fascicoli in Procura. Suscitò dibattito fino in Parlamento. Una polizia di un Paese sovrano che si muove in un altro Paese sovrano. Così. Perché?

La questione rieccita, puntualmente, l’interrogativo su una intelligence vaticana. Di servizi segreti di cui la Santa Sede non dispone. Sotto il Cupolone si nega esista un ufficio dedicato. Ma 007 vaticani in Italia sembra che ogni tanto abbiano passato ponte. Furono favoriti dall’ex funzionario del Sisde Giani? Tra gossip e realtà, il laureato cum laude in Pedagogia con successiva carriera in Fiamme gialle e polizia, rimane nel mirino. Suscita antipatie. Contro di lui corvi e veleni. Ultimo un sms inviato a lunghe tonache e giornalisti per screditarlo appena il 2 ottobre. Nella festa degli Angeli Custodi. Contro il capo (ormai ex) di un Corpo di gendarmeria che festeggia a fine settembre nella ricorrenza dell’Arcangelo Michele. Quello che lottò contro il diavolo.

Di sulfureo fumo, Giani ne ha attraversato. Ha indagato su questioni di sesso e droga, di dipendenti infedeli coi vari Vatileaks. Di soldi soprattutto. Ha preso troppo potere, gli rinfacciano. Restano alle cronache la gestione di una centrale operativa capace di captare qualsiasi conversazione tra le Sacre stanze. Che probabilmente funziona. E provoca più di un’uggia.

Giani – o chi per lui – non sarebbe nuovo a sconfinare. Esempio: nel 2008 la Segreteria di Stato non prende bene che il Governatorato (una sorta di super-municipio vaticano da cui dipende la Gendarmeria), abbia messo in vigore il nuovo regolamento dei poliziotti vaticani. Le ispezioni di qualche settimana fa in Terza Loggia hanno fatto traboccare il vaso. Ma, come ovvio, un poliziotto esegue perquisizioni su ordine della magistratura. E infatti il presidente del Tribunale vaticano è andato in vaticana pensione dopo poche ore il clamore sulla questione dell’investimento della Segreteria di Stato in quel di Londra.

Non solo. Frizioni tra Gendarmeria a guida Giani si erano registrate con la Guardia Svizzera. L’aretino è, tra l’altro, considerato fautore di un imprinting militare ai suoi poliziotti. Malignità? Forse. Fatto sta che nel piccolo Stato di militare ci sono solo gli Svizzeri. I 150 gendarmi e il suo comando si occupano di coordinare la sicurezza in Piazza, delle indagini, anche di gestire protezione civile e vigili del fuoco. Ma non sono militari. Giani, pluridecorato da Stati e Ordini cavallereschi – con mostrine sulla giacca d’ordinanza che ama mostrare – firmò una lettera di organizzazione di quella che doveva essere una festa. Scontentando.

Faccenda piccola, ma significativa. Lo ricorda il giornalista Gianluigi Nuzzi nel suo libro “Sua Santità”. Quando nel 2011 il comandante sta preparando la cerimonia per la donazione al Vaticano di un principe romano della bandiera pontificia in dotazione alle truppe papaline che avevano combattuto a Porta Pia nel 1870, propone una liturgia con schieramento delle Guardie svizzere. Prevedeva che gli Svizzeri fossero in parata guidati da un ufficiale dei Gendarmi. I vertici dell’esercito più colorato del mondo risposero picche: “Mai visto che nei picchetti d’onore un esercito renda onore militare a un corpo di polizia”.

Di un intreccio tra corvi e vipere che nidificano e covano in Vaticano non narrano i giornalisti. Lo disse ai tempi il segretario di Stato uscente Tarcisio Bertone. “Purtroppo all’interno del Vaticano sta venendo meno il senso di lealtà e di fedeltà alle istituzioni. Se ci dilaniamo e attacchiamo tra odio e lotte di potere perde senso l’essere Chiesa” affermava domenica ai microfoni di Mediaset il cardinale Angelo Becciu, già sostituto della segreteria di Stato. Nel dar conto delle accettate dimissioni di Giani da parte del Papa, oggi la Sala Stampa scrive di un Pontefice che le le accoglie come “un’espressione di libertà e di sensibilità istituzionale”. Poi tutto un cordialità, riconoscimento del ventennale servizio di Giani alla Santa Sede. Eccetera.

Il punto, però, resta altrove. I giudizi garantisti e forse infelici di Giani verso l’ex funzionario Apsa, Nunzio Scarano – definito dai giornali “monsignor 500” per la consuetudine con certi tagli di banconote – sono agli atti. Sembrava, Giani, dare un credito al funzionario Apsa. I tribunali hanno discusso il contrario. La ristrutturazione del suo appartamento vaticano caduta ai tempi del passaggio di consegna Ratzinger-Bergoglio, con ampliamento e arredamento non modesto con affaccio su Borgo Pio e caseggiati vaticani – dove l’aretino vive (per ora) con moglie e figli – è faccenda da rotocalco. La sostanza è un’altra.

Giani è nel mirino di un gioco di potere vaticano tutto da decifrare. Lui, devoto cattolico, co-fondatore di diverse associazioni contro la guerra, di spiritualità francescana (quella di Assisi per prima), davvero tra qualche giorno prenderà la via in uscita di Porta Sant’Anna solo per una disposizione di servizio con foto degli interdetti? O ha qualcosa a che fare sulle frizioni tra Ior e Segreteria di Stato su questioni finanziarie? Con certi distinguo interni ed esterni all’Aif, l’autorità antiriclaggio? Con polizieschi passi certi, ma inevitabilmente fluidi su un pantano di intrighi di Palazzo che oggi dicono sì e domani no – dove, soprattutto, al meriggio è già tutto un felpato “forse, ma anche” rispetto al mattino. Il dimissionamento di Giani – ex ufficiale della Finanza italiana – ha qualcosa a che fare con l’imminente Vatilikeas annunciato, in uscita a giorni a firma Gianluigi Nuzzi?

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