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Afghanistan

Usa e talebani non sono sempre stati nemici

Tutti i rapporti altalenanti negli ultimi anni fra Usa e talebani secondo analisti americani. L'approfondimento di Giuseppe Gagliano

 

Leggendo numerosi quotidiani nostrani e soprattutto ascoltando in televisione acclarati esperti sorge l’impressione che i talebani abbiano rappresentato e incarnato il male assoluto e che gli Stati Uniti – come nei film western – abbiano invece incarnato lo sceriffo che porta la giustizia in giro per il mondo (naturalmente a colpi di pistola).

Se questa tesi è adeguata in un contesto di propaganda, nulla a che vedere però con la realtà storica, che come sempre è infinitamente più complessa e più sfaccettata.

Gli Stati Uniti si sono sempre mostrati contrari al regime talebano? Ma questa è solo una leggenda facilmente smentibile. Come? Basterebbe infatti rivolgere la propria attenzione a un articolo di Robert Scheer, collaboratore del periodico online The Nation, e a un suo articolo che risale al lontano 22 maggio del 2002 dal titolo (in lingua italiana) “Il patto faustiano di Bush con i talebani“.

Cosa diceva in breve il giornalista americano? Citiamolo per esteso:

”Riducete in schiavitù le vostre ragazze e le vostre donne, ospitate terroristi antiamericani, distruggete ogni traccia di civiltà nella vostra patria e l’amministrazione Bush vi abbraccerà. Tutto ciò che conta è che ti schieri come alleato nella guerra alla droga, l’unica causa internazionale che questa nazione prende ancora sul serio. Questo è il messaggio inviato con il recente dono di 43 milioni di dollari ai governanti talebani dell’Afghanistan, i più virulenti violatori antiamericani dei diritti umani nel mondo di oggi. Il dono, annunciato giovedì scorso dal segretario di Stato Colin Powell, oltre ad altri recenti aiuti, fa degli Stati Uniti lo sponsor principale dei talebani e premia quel “regime canaglia” per aver dichiarato che la coltivazione dell’oppio è contro la volontà di Dio. In nessun momento della storia moderna donne e ragazze sono state più sistematicamente abusate che in Afghanistan dove, in nome della follia mascherata da Islam, il governo di Kabul cancella i loro diritti umani fondamentali. Le donne non possono apparire in pubblico senza essere coperte dalla testa ai piedi con l’opprimente sudario chiamato burkha, e non possono uscire di casa senza essere accompagnate da un membro della famiglia maschio. Non è stato loro permesso di frequentare la scuola o di essere curati da medici di sesso maschile, tuttavia alle donne è stato vietato di esercitare la professione medica o di qualsiasi altra professione. La sorte dei maschi è migliore se accettano ciecamente le leggi di una teocrazia religiosa che prescrive regole ferree che governano tutti i comportamenti, dal divieto di radersi a quali colture possono essere coltivate. È quest’ultimo potere che ha catturato l’entusiasmo della Casa Bianca di Bush. I fanatici talebani, isolati economicamente e diplomaticamente, sono al punto di rottura, e così, in cambio di una miseria di legittimità e denaro da parte dell’amministrazione Bush, sono stati disposti a mostrarsi contrari alla coltivazione dell’oppio. Ma è grottesco per un funzionario statunitense, James P. Callahan, direttore del programma antidroga asiatico del Dipartimento di Stato, descrivere i metodi speciali dei talebani nel linguaggio della democrazia rappresentativa: “I talebani hanno usato un sistema di costruzione del consenso”, ha detto dopo una visita fatta ai talebani, aggiungendo che i talebani hanno giustificato il divieto di droga in termini molto religiosi”.

E concludeva profeticamente il giornalista americano: “La nostra lunga triste storia di arruolamento di dittatori nella guerra alla droga dimostra l’inutilità di costruire una politica estera su un’ossessione interna”.

Dello stesso tono un lungo articolo di Ted Galen Carpenter del Cato Institute. Cosa sostiene lo studioso americano?

“A metà maggio 2001, il Segretario di Stato Colin Powell ha annunciato una sovvenzione di 43 milioni di dollari all’Afghanistan in aggiunta agli aiuti umanitari che gli Stati Uniti da tempo forniscono alle agenzie che assistono i rifugiati afghani. Dato il commento di Callahan, non c’erano dubbi che il nuovo stipendio fosse una ricompensa per gli sforzi antidroga di Kabul. Quella sovvenzione di 43 milioni di dollari deve essere contestualizzata. Il prodotto interno lordo stimato dell’Afghanistan era di soli 2 miliardi di dollari. In altre parole, 43 milioni di dollari erano soldi molto seri per i maestri teocratici dell’Afghanistan”.

Lo studioso americano non risparmia un duro giudizio sull’ingenuità politica da parte degli americani sostenendo che: ”i funzionari statunitensi sono stati ingenui nel prendere l’editto dei talebani alla lettera. La tanto decantata repressione della coltivazione del papavero da oppio sembra essere stata poco più di un’illusione. Nonostante i rapporti degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite secondo cui i talebani avevano praticamente spazzato via il raccolto di papavero nel 2000-2001, le autorità del vicino Tagikistan hanno riferito che le quantità che attraversavano il confine stavano effettivamente aumentando. In realtà, i talebani hanno dato l’ordine di fermare la coltivazione solo per aumentare il prezzo dell’oppio che il regime aveva già accumulato”.

Anche lo studioso americano esprime il proprio profondo disappunto nei confronti del sostegno dato dagli americani ai talebani poiché il governo talebano: ”il governo talebano ha proibito l’educazione delle ragazze, ha torturato e giustiziato i critici politici e ha richiesto ai non musulmani di indossare abiti distintivi, una pratica che ricorda stranamente l’obbligo della Germania nazista che gli ebrei mostrino la stella di David sui loro vestiti. Eppure i funzionari degli Stati Uniti hanno ritenuto che nulla di tutto ciò fosse un ostacolo alla cooperazione con i talebani sulla politica anti-droga. Anche se l’amministrazione Bush non fosse stata dissuasa da considerazioni morali, avrebbe dovuto esserlo da preoccupazioni puramente pragmatiche. C’erano già ampie prove nella primavera del 2001 che i talebani stavano dando rifugio alla rete di al-Qaeda di Osama bin Laden che aveva bombardato due ambasciate statunitensi in Africa orientale. Per il Dipartimento di Stato ignorare quel collegamento e accettare di sovvenzionare i talebani è stato imperdonabile e ottuso. Raramente ci sono prove così evidenti del fallimento della politica antidroga degli Stati Uniti”.

Ma tutto ciò non deve sorprendere, e non deve sorprendere perché in primo luogo proprio la CIA, l’MI6 e soprattutto l’Isi Pakistani hanno contribuito alla creazione dei talebani per contrastare la presenza sovietica in Afghanistan; in secondo luogo l’invasione americana in Afghanistan ha contribuito enormemente alla crescita del traffico di droga.

Ma esiste anche una questione legata alla sicurezza energetica. Infatti prima dell’11 settembre Washington era stata coinvolta in negoziati infruttuosi col governo talebano con lo scopo di realizzare un preciso corridoio di sicurezza energetica. Non solo: in almeno due casi ha sempre gestito un legame molto stretto tra la multinazionale californiana e i vertici del potere politico in Afghanistan. A chi stiamo alludendo?

In primo luogo a Hamid Karzai, che nel dicembre del 2001 fu inizialmente selezionato per diventare presidente ad interim dell’Afghanistan dietro pressione della Unocal Americana di cui fra l’altro egli era stato un ex dipendente( come indicato persino dalla Treccani).

In secondo luogo al fatto che Zalmay Khalilzad, inviato speciale degli Stati Uniti prima in Afghanistan e poi in Iraq, era stato dipendente proprio della multinazionale americana.

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