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Ecco le università statali che segano i prof che amano gli atenei privati digitali

Alcune università italiane hanno iniziato a mettere dei veti ai propri docenti che hanno anche collaborazioni con gli atenei telematici. Ecco cosa sta succedendo

 

Decisioni a macchia di leopardo che non si basano su una normativa comune ma che si stanno diffondendo sempre di più. L’Università di Padova è stata la prima a vietare ai suoi docenti di prendere corsi a contratto in atenei telematici per “conflitto di interessi”, ma anche altri ora sembrano seguire il suo esempio.

Questo, secondo alcuni accademici, ha dei risvolti sia positivi che negativi.

PADOVA APRIPISTA, MA NON UNICA

La scorsa primavera, il Senato accademico di UniPadova ha previsto per i suoi docenti il divieto di prendere corsi a contratto in università telematiche per “conflitto di interessi”.

La delibera è stata impugnata al Tar che a giugno 2024 ha dato ragione all’ateneo ritenendo che questo può valutare il possibile conflitto di interesse con attività di altri atenei. Da allora, la pratica si è diffusa, con forme diverse, anche ad altre università.

L’università di Bologna, per esempio, all’articolo 4 punto e) del regolamento sugli incarichi extraistituzionali, vieta ai propri docenti “l’assunzione di incarichi, di qualunque natura, presso Atenei telematici”, compreso il far parte di commissioni di concorso per bandi emanati da questi atenei. UniFirenze, invece, in un recentissimo regolamento, prevede il “(divieto di) svolgere attività di docenza per Università telematiche” (art. 2, punto 7).

COSA IMPLICA LA DECISIONE DEL TAR

Ora, secondo una fonte che ha familiarità con la questione, la sentenza del Tar relativa all’azione dell’Università di Padova ha un aspetto positivo e uno negativo. Di positivo ci sarebbe una “conferma della limitazione a un’azione degli atenei telematici diventata oramai squalificante per l’intero sistema universitario, perché diventati esamifici online oltre la normativa e gli assetti previsti per i titoli di studio italiani”.

Tuttavia, compare “anche un aspetto molto problematico, perché il Tar afferma esplicitamente oramai l’esistenza di un mercato universitario, dove un ateneo può stabilire di limitare qualunque attività in funzione della concorrenza con altri soggetti: vietare per questo motivo collaborazioni didattiche, come potenzialmente anche di ricerca o terza missione, stravolge il concetto di cooperazione che è alla base del modello di università pubblica che è esistita sinora”.

PERCHÉ I RETTORI SI MUOVONO COSÌ

Stando all’accademico, i rettori che si sono mossi per primi per modificare i regolamenti, pur senza un coordinamento particolare, sono anche coloro che nei mesi scorsi si sono espressi con più nettezza contro la dinamica delle università telematiche e l’ipotesi di conferma di criteri differenziati per loro, contro quanto prevede il decreto 1154/2021, su cui a breve dovrebbe intervenire il Ministero dell’università e della ricerca (Mur).

Il suddetto decreto, emanato dall’allora ministro Maria Cristina Messa, ha modificato i requisiti didattici per le università in termini di tipologia di docenti da garantire e di modalità di calcolo del numero di studenti, senza distinzione fra atenei telematici e non.

UNIVERSITÀ TELEMATICHE (E LEGA) VS UNIVERSITÀ TRADIZIONALI

Nel gennaio 2024 la Lega aveva provato a rimandare gli obblighi per le università telematiche di adeguarsi agli standard qualitativi degli atenei tradizionali presentando un emendamento, bocciato però a nome del governo dall’attuale ministro Anna Maria Bernini.

L’emendamento, tra l’altro, si poneva in netto contrasto con le istanze dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) e della Conferenza dei rettori, i quali chiedono di aumentare i docenti a tempo indeterminato nelle telematiche in rapporto alla crescita esponenziale degli studenti iscritti.

Trovare un compromesso, come vorrebbe fare Bernini, appare però difficile. Attualmente infatti, stando all’ultimo rapporto dell’Anvur, nelle università tradizionali il rapporto è di 1 docente ogni 28 studenti, mentre in quelle telematiche è di 1 ogni 385.

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