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Fed Bce

L’unione bancaria, la relazione di Rossi (Bankitalia) e la prova del budino (rancido)

L'analisi di Gianfranco Polillo, editorialista di Start Magazine

Limiti solo tecnici o di carattere più generale? Quando si parla di Unione bancaria europea, questi sono gli interrogativi che emergono, anche al di là della sua attuale incompiutezza. Salvatore Rossi si muove inevitabilmente all’interno del primo versante, ma le sue preoccupazione, per il grande pubblico, diventano intellegibili solo all’interno di un ragionamento di più ampio respiro. Del resto il continuo rinvio dell’Edis (European Deposit Insurance Scheme), l’assicurazione europea sui depositi, è solo un caso. O la conseguenza delle scelte compiute, o loro volta figlie di altrettante riserve mentali?

Archiviata per il momento questa pratica – se ne parlerà prima o poi – la novità sta nel fatto che anche le regole sulla risoluzione unica delle banche in crisi (il secondo pilastro) non sono poi così vitali. E se a dirlo è il direttore generale della Banca d’Italia, vale a dire dell’Istituto che avrà la responsabilità della relativa gestione, gli si può credere sulla fiducia.

Il nodo di fondo è rappresentato soprattutto dal bail in, che ha trasferito il rischio di insolvenza di una banca dal pubblico, i contribuenti, ai privati: nell’ordine gli azionisti, i possessori di obbligazioni subordinate ed infine i depositanti per la quota eccedente i 100 mila euro. La vigilanza è sempre più europea (primo pilastro). Caratterizzata cioè da regole sempre più uniformi al fine di evitare il formarsi di posizioni divaricate all’interno dei singoli Paesi. Con possibili spillover non voluti. Rossi ne sottolinea giustamente il valore e l’importanza.

I problemi nascono subito dopo, quando si analizzano le procedure che regolano l’eventuale interventetion. Vale a dire il tentativo di prevenire o governare l’eventuale stato di crisi. La prima cosa che il Mvu (Meccanismo di vigilanza unico), con sede in Francoforte, deve fare è stabilire se esiste o meno un rischio di dissesto. In caso positivo, la palla passa al Mru (Meccanismo di risoluzione unico) con sede a Bruxelles, il quale deve decidere se l’eventuale crisi può comportare un rischio sistemico, nel qual caso interviene l’Europa, o è solo locale. In questo secondo caso scatta la procedura di bail in con le relative penalizzazioni già indicate.

Mettiamo da parte gli aspetti più tecnici di cui parla Rossi. Ad esempio il tema del Mrel (Minimum Requirements for own funds and Eligible Liabilities) vale a dire il il requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili richiesto a ciascuna banca. Soffermiamoci, invece, su un aspetto più di sistema. “Se desidero investire il mio denaro nelle azioni o nelle obbligazioni di una banca, o anche depositare una somma ragguardevole, – spiega Rossi – devo essere consapevole sin dall’inizio che potrei perdere tutto e che nessuna istituzione pubblica mi verrà in soccorso. Non è più consentito alcun ‘azzardo morale’”.

Se devo investire in azioni o in obbligazioni ho quindi bisogno di un consulente se non addirittura di un direttore finanziario. Poi c’è sempre il problema Consob. Vale a dire il format del prospetto informativo. Aspetto che riguarda tutti coloro che investono sul mercato finanziario. Ma se sono un semplice correntista, devo comunque sottopormi a quest’ulteriore stress? Rossi parla di “una somma ragguardevole”. Un valore che non può essere pari solo a 100 mila euro. Oltre il quale si è penalizzati. Perché, in Italia, vista l’entità della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, questo livello è facilmente superato da risparmiatori, per così dire, ordinari.

Mantenere a quel livello la copertura assicurativa dei depositi, significa costringere molti correntisti, che vogliono ridurre il rischio, a servirsi di più banche. Oppure ricorrere alla cointestazione dei conti, per aumentare il grado di copertura. Visto che i 100 mila euro riguardano ogni intestatario. Insomma, comunque la si metta non è un bel vedere. Ma c’è di più. L’Europa può intervenire solo se l’eventuale crisi del singolo istituto di credito può avere conseguenze di carattere sistemico.

Il Muv, scrive ancora Rossi, è orientato a riconoscere che esiste un “interesse generale” da difendere “solo nel caso di grandi banche, la cui rilevanza sistemica è indubbia.” Ritiene, giustamente, che il criterio della dimensione non possa essere l’unico elemento di valutazione. Per quanto ci riguarda andiamo anche oltre. Fino a ricercare le lacune analitiche che hanno portato ad una governance complessiva dell’intera Eurozona tutt’altro che soddisfacente.

Rossi motiva il suo ragionamento, ricordando le parole di Mario Draghi che “ha definito il Mvu “la tappa principale verso una maggiore integrazione economica dopo la creazione dell’Unione economica e monetaria”. La risposta inevitabile alla crisi greca che si è subito trasformata “in crisi di fiducia tra i paesi europei”. Ricostruzione ineccepibile, ma anche parziale. A determinarla furono indubbiamente “le reali condizioni delle finanze pubbliche”. Ma non solo.

Fin dagli anni precedenti la grande crisi, il deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti greca, per anni, era stato addirittura superiore al 10 per cento del Pil. Erodendo margini di competitività e quindi riducendo i livelli di crescita, per poi riflettersi sugli squilibri di finanza pubblica. Erano pertanto evidenti tutti i prodromi della successiva crisi finanziaria. Ma né allora – cosa anche comprensibile – né ora – molto meno – se ne trassero le necessarie indicazioni.

Il fatto è che una più attenta valutazione del quadro macroeconomico rispetto ai soli problemi di natura finanziaria non rientra nelle corde della retorica europeista. E purtroppo gli effetti si vedono, come mostra l’analisi di Rossi, nelle soluzioni indicate, ma che non reggono, alla fine, alla prova del budino.

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