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Carlo Calenda Terzo Polo

Un consiglio (non richiesto) a Carlo Calenda

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

L’elenco degli epiteti poco lusinghieri sul conto di Carlo Calenda è ormai lungo come una quaresima: divisivo, sconsiderato, voltagabbana, fumantino, spavaldo, permaloso, prepotente, superbo, radical chic. Roma val bene una messa, e il clero di Largo del Nazareno non vede di buon occhio che ad officiarla sia un laico, che peraltro — summa nequitia — si definisce un liberale di sinistra. Candidandosi a sindaco di Roma, il leader di Azione è stato senz’altro coraggioso. Infatti, senza il sostegno degli elettori del Pd difficilmente andrà al ballottaggio.

Forse il suo è stato un rischio calcolato, che scommette sulla palude di un partito incapace di proporre nomi parimenti competitivi (absit iniuria verbis, ma, a differenza di quanto pensa Enrico Letta, Roberto Gualtieri non mi sembra un trascinatore di folle). Non saprei dire. A un mese dalle elezioni comunali, consenta però a un suo virtuale elettore un consiglio non richiesto: fossi in lui, starei in guardia, abbasserei i toni e sceglierei un uso più sobrio dei social. Perché tra i Democratici non sono pochi gli adepti di un nuovo culto: quello della mancanza di personalità.

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“Il Papa [Leone XII] che similmente abolì codici e tribunali istituiti dai francesi volle tornare agli ordini del vecchio tempo, e rinchiuse daccapo i giudei nei ghetti e li astrinse ad assistere a pratiche di una religione che non era la loro, e perfino proibì l’innesto del vaiuolo che mischiava le linfe delle bestie con quelle degli uomini: vani sforzi che poi cedettero dal più al meno alle necessità dei tempi (Benedetto Croce, “Storia d’Europa nel secolo decimonono”).

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Lectio magistralis del più illustre tra i fondatori del Pci ai suoi smemorati allievi di ieri e di oggi: “Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali” (Antonio Gramsci, “Il grido del popolo”, aprile 1916). La più efficace “fiscalità di vantaggio”, in altri termini, è quella di un Sud che può contare su uno  Stato impegnato nelle sue funzioni essenziali, e solo in esse: amministrare correttamente la giustizia, garantire la sicurezza dei cittadini, fornire servizi sanitari ed educativi decenti, infrastrutturare il territorio, dotarsi di quelle capacità progettuali che sono indispensabili per utilizzare con profitto i finanziamenti europei nei campi dell’innovazione tecnologica e del risanamento urbano.

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“Il pm non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice. Chi, come me, richiede che (giudice e pm) siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’Esecutivo” (Giovanni Falcone).

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“Se una grande parte degli elettori figura sul libro paga dello Stato […] Se i membri del parlamento non si considerano più mandatari dei contribuenti ma rappresentanti di coloro che ricevono salari, stipendi, sussidi e altri benefici presi dalla risorse pubbliche, la democrazia è spacciata” (Ludwig von Mises).

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