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Londra

Così Johnson il diplomatico scavalca Biden (e gli Usa) sull’Afghanistan

Come si muove il premier britannico, Boris Johnson, sull'Afghanistan. Il punto di Daniele Meloni

 

La disfatta americana in Afghanistan ha avuto riverberi anche a Londra. Tra le conseguenze peggiori c’è quella ricaduta sui cittadini britannici, che stanno tentando disperatamente di tornare nel Regno Unito in coda all’aeroporto di Kabul, ammassati tra i check-point dei Talebani e quelli delle potenze occidentali. Ma ogni crisi – in questo caso sarebbe il caso di dire ogni umiliazione – porta con sé delle opportunità. E proprio su queste che il premier Tory Boris Johnson ha cercato di muoversi, staccandosi dal pericoloso vortice che sta risucchiando l’amministrazione Biden, per proporre nuove iniziative diplomatiche e dare un seguito alle aspettative di quanti, tra gli stakeholders del Foreign Office e del variegato mondo della diplomazia e dei think-tank Uk, vorrebbero che Londra fosse una “forza che opera per il bene sul panorama internazionale”.

Affiancato dal criticatissimo ministro degli Esteri Raab – cui a gran voce l’opposizione chiede le dimissioni per essere rimasto in vacanza un giorno in più allo scoppio della crisi afgana – Johnson ha convocato un G7 virtuale per la giornata di domani, martedì 23 agosto, al centro di cui ci sarà la discussione della situazione dell’Afghanistan. Se Biden e Blinken sono stati piuttosto categorici riguardo l’addio a Kabul e la deadline del 31 agosto, Johnson è convinto di poter fare pressioni su un Presidente in difficoltà per ottenere più tempo, rimpatriare il maggior numero di cittadini UK e mettere in sicurezza tutti coloro che temono la vendetta dei Talebani. I rapporti tra il migliaio di soldati della British Army e questi ultimi all’aeroporto di Kabul sono collaborativi ma la tensione è palpabile, come raccontano i reportage dell’inviato di Sky News, Stuart Ramsay: ci sono persone che sono morte schiacciate nella calca, spari, e una fila di 20mila persone affamate e disidratate, la maggior parte delle quali senza i documenti necessari per abbandonare il paese. “Purgatorio”, è la parola utilizzata da Ramsay per descrivere la situazione. Un purgatorio con l’inferno dietro l’angolo.

Finora, secondo i dati forniti dall’Ambasciatore britannico in Afghanistan, Sir Laurie Bristow, sono 6mila i cittadini britannici rimpatriati dal 13 agosto a oggi. Il processo deve essere necessariamente più veloce se non si vuole rischiare di trasformare la collaborazione con i Talebani in aperta ostilità dal 1° settembre in poi. Johnson ha affermato che al meeting di domani la questione Kabul sarà discussa con urgenza e che gli obiettivi sono: garantire un’evacuazione sicura dei cittadini, evitare una crisi umanitaria che si fa sempre più vicina e supportare il popolo afgano nei passi avanti fatti negli ultimi 20 anni.

Il Regno Unito fa leva sulla propria presidenza del G7, e Johnson pare avere trovato un pertugio tra Washington e Bruxelles per farsi promotore di un’iniziativa diplomatica che gli consentirebbe di allineare la comunità internazionale sulle posizioni britanniche. Addirittura, Raab ha detto che, per quanto Londra non faccia salti di gioia, vanno coinvolte anche Cina e Russia sull’Afghanistan. Questo sarà possibile attraverso il G20 a guida italiana. I contatti tra Downing Street e Palazzo Chigi sono costanti e sono proseguiti per tutto il week-end. Per il governo Tory questo attivismo diplomatico è parte del rinnovato interesse per il destino della comunità internazionale stabilito dalle nuove linee di politica estera e di difesa annunciate la scorsa primavera con l’Integrated Review. Londra vuole fare contare le sue posizioni di privilegio in seno alla Nato e al Consiglio di Sicurezza Onu per affermare la Global Britain e il suo ruolo nel mondo. Paradossalmente, la dèbâcle del maggior alleato ha lasciato a Johnson uno spazio, forse inaspettato, in cui inserirsi.

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