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Ucraina, la follia di Putin e la disinvoltura Usa. L’analisi di Fabbri

 

Finora i più entusiasti della guerra in Ucraina sono gli apparati americani.

Si sono ritratti appena Mosca ha iniziato le operazioni militari, hanno abbandonato la popolazione ucraina all’avanzata del nemico dopo aver implicitamente promesso a questa di associarla a sé.

Hanno appaltato a baltici, polacchi, romeni l’avanzamento del contenimento ai danni della Russia, conducendolo ai limiti della Galizia, sebbene non fossero convinti della manovra.

Eppure l’avventata invasione del territorio da parte del Cremlino sta trasformando in vantaggio la colpevole leggerezza statunitense – a fronte di un indiretto contributo in armamenti.

Al netto di ogni esito della guerra, nel prossimo futuro Mosca sarà costretta a occuparsi del suo estero vicino, per sedare l’Ucraina occupata o ancora per estricarsi dalle sue sabbie mobili.  Sguarnendo altri fianchi.

Mentre il fronte NATO, platealmente sfilacciato, si è compattato contro l’Orso, unità destinata a durare brevemente ma comunque maggiore rispetto al recente passato.

Senza possibilità che la sofferente Ucraina entri nell’Alleanza atlantica, evoluzione da tempo rinnegata dagli Stati Uniti, sicuri che la “terra di frontiera” sia più utile a cavallo di due civiltà che nel proprio campo.

Né Pechino può utilizzare gli eventi europei per aggredire Taiwan, ben cosciente che i due dossier restano nettamente distinti, per determinazione americana a intervenire sui mari cinesi e non sul Dnepr.

Unico rischio per Washington, l’inattesa capacità tedesca di sfruttare il momento per giustificare il proprio riarmo, quanto preteso negli anni dal Pentagono, a patto non segni l’inizio di una mutazione (semi)indipendentistica.

La crisi ucraina è stata gestita dagli Stati Uniti con eccessiva disinvoltura. Nei primi anni Duemila Washington s’era convinta fosse necessario portare l’alleanza atlantica fino a Kiev, con lo scopo di ricacciare la Russia nel quadrante settentrionale della pianura sarmatica.

Fu prodotto di quel periodo il comunicato del vertice NATO di Bucarest del 2008 che auspicava l’ingresso nell’organizzazione proprio di Ucraina e Georgia.

(…)

Resta la preoccupazione per l’inedita manovra di Berlino, capace di inserirsi nella crisi per giustificare il proprio riarmo, mascherandolo con la furbesca decisione di autosospendere Nord Stream 2, onde sottrarlo al regime sanzionatorio, e con il considerevole invio di armamenti verso l’Ucraina per dimostrare buona fede.

Il 27 febbraio il cancelliere Olaf Scholz ha annunciato di voler condurre la spesa militare oltre il 2 per cento del PIL, ben oltre Regno Unito e Francia in termini assoluti. Obiettivo storicamente reclamato da Washington, eppure sufficiente per allarmare la superpotenza sulle future intenzioni del socio teutonico, tecnicamente pronto a incrementare ancora l’esborso. Per smarcarsi (parzialmente) dal patron anglosassone. Sviluppo potenzialmente nefasto per gli Stati Uniti, ma un rischio congruo per cogliere i frutti dell’autolesionismo russo.

(Breve estratto dell’analisi di Fabbri pubblicata sul mensile Scenari del quotidiano Domani)

Dario Fabbri

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