Le recenti dichiarazioni del ministro del Commercio turco, Omer Bolat, rappresentano una mossa strategica che riflette la crescente tensione diplomatica tra Turchia e Israele, inserendosi in un contesto geopolitico che vede Ankara riaffermare il proprio ruolo di sostegno alla causa palestinese. La decisione della Turchia di chiudere completamente il proprio sistema doganale al commercio con Israele fino al raggiungimento di un cessate il fuoco permanente e alla garanzia di un flusso costante di aiuti umanitari verso Gaza indica un allineamento di Ankara con gli interessi palestinesi, sottolineando al contempo la volontà di distanziarsi da Tel Aviv su questioni di sicurezza regionale.
Bolat ha dichiarato che le esportazioni turche verso la Palestina sono autorizzate solo se destinate a importatori palestinesi e previa conferma ufficiale del Ministero dell’Economia palestinese, assicurando che i beni siano utilizzati esclusivamente entro i confini palestinesi; questa misura aggiunge un ulteriore livello di controllo che limita le potenziali triangolazioni commerciali con Israele, rafforzando l’embargo dichiarato.
La Turchia appare intenzionata a consolidare la propria posizione come difensore della popolazione palestinese, enfatizzando un supporto economico che, secondo Bolat, copre circa un quarto delle necessità palestinesi, anche se indirettamente.
Questa linea strategica della Turchia va interpretata in un contesto più ampio, che vede il governo di Erdogan, da anni critico verso la politica israeliana nei territori palestinesi, riaffermare un’agenda di politica estera autonoma e sempre meno incline a seguire incondizionatamente le posizioni occidentali sulla questione mediorientale. Questa rottura con Israele ha un significato simbolico per Ankara, ma anche pratico, in quanto mira a presentarsi come una forza indipendente nella geopolitica regionale, capace di rispondere alle crisi del Medio Oriente in modo autonomo e secondo una propria interpretazione della stabilità regionale. Il richiamo di Bolat alla necessità di garantire aiuti umanitari a Gaza e di ottenere un cessate il fuoco permanente evidenzia come la Turchia consideri queste misure essenziali per una ripresa delle relazioni con Israele, posizionandosi come interlocutore che vincola i rapporti diplomatici alla salvaguardia dei diritti dei palestinesi.
L’escalation delle tensioni tra Turchia e Israele potrebbe però avere implicazioni più ampie anche nei rapporti tra Ankara e Washington, data la storica alleanza tra Stati Uniti e Israele; tuttavia, il governo di Erdogan sembra determinato a mantenere una postura assertiva, un approccio che mira a rafforzare il ruolo della Turchia come potenza regionale.
Questa linea strategica di Ankara si inserisce inoltre nel quadro di un Medio Oriente sempre più frammentato in cui i vari attori internazionali, dalla Russia all’Iran fino agli stessi Stati Uniti, competono per esercitare la propria influenza; in tale contesto, il governo turco sta cercando di definire il proprio spazio d’azione e di differenziarsi dalle politiche statunitensi, concentrandosi sul sostegno alle cause regionali che ritiene più vicine ai propri interessi strategici.