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Tutti gli ultimi spifferi sulla corsetta al Quirinale

Notizie, voci e spifferi dal fronte mobile del Quirinale. I Graffi di Damato

 

Tra le notizie o gli spifferi dal Fronte del Quirinale si distinguono oggi le poche righe di prima pagina del manifesto in cui, pur riferendo in verità da Palazzo Chigi, si assicura che “nessuno sa se Draghi pensi davvero alla corsa al Colle ma quasi tutti sono convinti di sì. Di sicuro – continua lo spiffero – lo spinge il suo cerchio, sia tecnico che politico. Quanto l’ipotesi sia considerata realistica e temibile lo dimostra il fuoco di sbarramento preventivo che s è levato da un po’ di giorni”.

A questo fuoco di sbarramento i pur amici del Foglio – che hanno in qualche modo avviato la campagna per Draghi al Quirinale preferendo i sette anni certi del Colle ai due ancora a Palazzo Chigi, che sono poi poco più di un anno, e chissà poi – hanno aggiunto quello in verità silenzioso di Beppe Grillo, convinto pure lui che “Draghi debba portare a termine il lavoro che sta facendo, e bene, fino al 2023”. Per fortuna la “regolarità” dei contatti di Draghi con Grillo sarebbe maggiore di quella con Giuseppe Conte, un po’ ondivago anche in questo.

Ma è inutile cercare conferma di questi spifferi – anch’essi – sul blog personale del garante del MoVimento 5 Stelle perché vi dominano altri argomenti e timori, in una visione peraltro ironicamente fiduciosa come quella della vignetta in cui il “papino” tranquillizza il figliolo preoccupato della casa allagata. L’acqua è ancora bassa potendosi vedere ancora un po’ di televisore, un quadro appeso a una parete. Ma soprattutto si respira ancora senza l’attrezzatura del sommozzatore.

Tracce invece della preoccupazione che Draghi per imprudenza sua o di qualche cattivo consigliere si lasci distrarre dal prezioso lavoro di governo si trovano, laconiche e forti, in un’intervista di Silvio Berlusconi al direttore del Giornale di famiglia raccolta dal direttore in persona Augusto Minzolini. Al quale, desideroso giustamente di sapere, dopo le tante e solite note stonate che escono dall’orchestra del centrodestra, se sia “ancora convinto, che la politica debba garantire le condizioni affinché il governo Draghi prosegua fino alla scadenza naturale della legislatura del 2023”. Berlusconi ha risposto: “Sempre di più”. Neppure Tacito sarebbe stato così preciso e breve.

L’unica divagazione che si è permessa l’ex presidente del Consiglio è sulla materia già altre volte trattata da Minzolini di una sua candidatura, pur non evocata esplicitamente, più sottintesa che emersa, come di qualcosa di terapeutico, funzionale ad una pacificazione nazionale dopo gli anni di guerre d’ogni tipo nella cosiddetta seconda Repubblica.

In pratica, pur fingendo di non parlare direttamente di sé e tanto meno degli avversari che hanno già mobilitato contro una sua candidatura tutto il materiale giudiziario e paragiudiziario possibile, facendone un mezzo latitante a piede libero e luccicante, Berlusconi è paragonato al presidente uscente della Repubblica e ai predecessori Einaudi, Saragat e Pertini, sapientemente selezionati come personalità liberatesi della loro appartenenza politica con l’elezione a capo dello Stato: diversamente da quanto accaduto -si dovrebbe intendere, salvo equivoci, da Enrico De Nicola, Giovanni Gronchi, Giovanni Leone, Francesco Cossiga, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Sei sospetti, a dir poco, contro quattro insospettabili nella galleria quirinalizia dell’ex presidente del Consiglio.

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