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Giorgetti

Vi racconto gli ultimi spifferi dalla giostra del Quirinale

Che cosa succede sulla corsa al Colle? I Graffi di Damato

 

Scusatemi se non riesco ad appassionarmi, diciamo così, ai temi della pandemia, dell’assalto pur amichevole degli americani a Tim, delle beghe più o meno regolamentari al Senato sul bilancio e altre cose ancora. Purtroppo mi intriga di più, per vecchie abitudini di mestiere, quella che comunemente si chiama “corsa al Quirinale” e che spesso sarebbe meglio definire “giostra” per la rapidità capricciosa con la quale scendono e salgono i candidati più disparati, con un occhio sempre rivolto tuttavia al presidente uscente della Repubblica. Dalla cui disponibilità o ambizione a restare dipendono tattiche e strategie degli altri concorrenti, almeno da quando la rielezione riuscì nel 2013 a Giorgio Napolitano, anche lui all’origine contrario, come adesso Sergio Mattarella, ma poi arresosi alle circostanze.

Anche nell’ultima uscita dal Quirinale, tornando tra i professori dell’università romana della Sapienza dove studiò da giovane, il capo dello Stato ha voluto ricordare le “poche settimane” che mancano alla “conclusione del ruolo e delle funzioni” assunte nel 2015, dopo l’abbandono di Napolitano per stanchezza, non so francamente se più fisica o politica, dati gli stress che gli procurava con i suoi ritmi, a dir poco, Matteo Renzi da Palazzo Chigi. Mattarella “chiude ancora ai partiti”, ha titolato Il Messaggero. “Mattarella deve insistere: ho finito”, ha gridato il manifesto. “Mattarella seppellisce l’ipotesi bis”, ha cimiterialmente chiosato Il Quotidiano del Sud.

Se però questa maggiore determinazione di Mattarella a lasciare il campo -per quanto avesse fatto pensare a qualche ripensamento rispolverando recentemente negli archivi quirinalizi le proposte di due predecessori di mettere in cantiere modifiche della Costituzione che gli dessero la ragione o il pretesto per garantirne il corso con un prolungamento davvero eccezionale e ultimo del suo mandato- dovesse davvero nascere dalla convinzione attribuitagli da qualcuno che vada profilandosi dietro le solite quinte un accordo vasto su Paolo Gentiloni come successore, sarebbe forse il caso di diventare più prudenti nei titoli e nelle previsioni.

Sull’ex presidente del Consiglio e attuale commissario europeo si è appena aperta una specie di offensiva sotto le stelle per avere avuto come capo di Gabinetto a Palazzo Chigi lo stesso Antonio Funiciello che oggi assiste Draghi. Al quale Il Fatto con la solita verve di Marco Travaglio ha chiesto di rimuoverlo per avere favorito abitualmente finanziatori di Matteo Renzi. Che -guarda caso, sembra di capire- starebbe lavorando adesso proprio per la candidatura di Gentiloni al Colle, dopo “la pace di Bruxelles” del 9 novembre a casa del commissario europeo annunciata da Repubblica.

I problemi di Gentiloni e quelli anche di Draghi, che al Foglio da tempo auspicano al Quirinale ma il cui trasferimento da Palazzo Chigi preoccupa anche un ammiratore come Silvio Berlusconi, hanno scatenato lo spirito giocoso e goliardico di Giuliano Ferrara. Che a questo punto, sempre sul Foglio, ha dato “trenta e lode” al sempre amico Cavaliere per l’ostinazione, la schiettezza, la fantasia e quant’altro con cui si sta giocano la partita del Quirinale pur senza avere ancora indossato la maglia del giro. Diavolo di un uomo, il Cavaliere.

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