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Trump Coronavirus

Tutti gli scazzi in America sull’emergenza Covid-19

Il Punto di Marco Orioles sull'emergenza Covid-19 negli Stati Uniti

L’America che fa i conti con il Covid-19 non è semplicemente un Paese impaurito per i numeri in continua crescita dei contagi e dei morti, che nella giornata di ieri – secondo il responso del database in continuo aggiornamento del New York Times– avevano raggiunto rispettivamente quota 173.741 e 3.433.

Ci sono altri numeri che stanno facendo impallidire gli States e sono quelli di un’economia che, se la fosca previsione di Goldman Sachs è veritiera, potrebbe cedere nel prossimo quadrimestre un terzo del suo valore annualizzato. O quelli della disoccupazione, che gli stessi analisti di Goldman prevedono possa toccare il 15%.

Le ricadute economiche del contagio si vedono nitidamente anche nella Borsa di New York, che sebbene sia tornata a respirare dopo il varo delle maxi misure di stimolo da parte di governo e Fed, ha comunque il suo indice S&P ancora giù del 20% rispetto al suo valore di inizio anno. E tutto lascia credere – a partire dalla chiusura a -1,8% di ieri dello stesso S&P – che la buriana non sia ancora finita.

Non è finita certamente per i lavoratori americani, che stanno chiedendo in massa – il New York Times contava ieri 3,3 milioni di domande accumulatesi in questi giorni di frenesia – il  sussidio di disoccupazione.

Uomini e donne che per sbarcare il lunario chiedono ormai prestiti disperati ad amici e conoscenti, mettendo a dura prova – come sottolinea il NYT – la coscienza collettiva di un Paese che da sempre oscilla tra la solidarietà universale incarnata nel motto “E pluribus unum” e l’individualità spinta del self-made man che deve farcela da solo senza l’aiuto di nessuno e tanto meno dello Stato.

E il dolore di un paese stremato è forte come quello del suo presidente, che assiste – anche dopo una telefonata con il suo rivale Vladimir Putin – un prezzo del petrolio precipitato a 20 dollari al barile, un livello mai visto in una generazione, in un trend che fa tanto più male in quanto intacca soprattutto le posizioni dei produttori Usa (non a caso i prezzi nel West Texas e nel Nord Dakota sono precipitati addirittura a 10 dollari). Produttori che all’orizzonte vedono nero.

Se cupa è la situazione dell’economia, quella dell’epidemia come dicevamo non è da meno, tanto da spingere Donald Trump a usare ieri parole fortissime.

La nazione, ha affermato ieri il tycoon durante il consueto briefing con la stampa, sta affrontando “una grande prova come mai le è successo prima”: una prova che richiederà “tutta la nostra forza collettiva, il nostro amore e la nostra devozione” non solo e non tanto per superarla, quanto per scongiurare la catastrofe.

Catastrofe che il presidente ha quantificato in “2,2 milioni di persone che sarebbero morte” se il suo governo avesse deciso “di non fare niente” e il popolo americano “avesse proseguito la sua vita normalmente. Avremmo visto gente morire negli aeroplani, nelle lobby degli hotel – avreste visto morti dappertutto”.

E per rispondere alla fatidica domanda da un milione di dollari – qual è, per dirla con Trump, il “nostro vero numero” degli americani che saranno presumibilmente uccisi dal virus venuti da Wuhan – il presidente ha ceduto la parola alla coordinatrice della task force governativa anti-Covid-19, Deborah Brix, cui è toccato illustrare anche le nuove linee guida della Casa Bianca, che saranno in vigore fino al 30 aprile, su come “rallentare la diffusione” del contagio (il piano della presidenza si intitola non a caso “30 Days to slow the spread”).

Ebbene, in merito a quel “vero numero”, Brix ha esordito con una premessa: in assenza di misure di “mitigazione”, l’America starebbe contando una “montagna” di vittime che sarebbero presumibilmente tra 1 e 2 milioni.

Poiché però il governo ha introdotto le famose misure di distanziamento sociale, e si sta adoperando con tutti i mezzi per approntare una risposta sanitaria all’altezza, ecco che quella montagna dovrebbe ridimensionarsi e diventare una “collina” formata da un cumulo di morti compreso tra 100 e 240 mila.

Quando la parola è passata ad Anthony Fauci, l’infettivologo più famoso d’America che Trump ha voluto al suo fianco in questa lotta epica contro un male invisibile ha formulato una nota ottimistica in merito a quei numeri comunque da incubo.

“Saranno così tanti?”, si è chiesto Fauci prima di offrirsi da solo la risposta. “Spero di no, e spero che più noi spingiamo con le misure di mitigazione” – che, ha precisato lo scienziato, “stanno chiaramente avendo effetto” – e “minori saranno le probabilità di raggiungere quelle cifre”.

Detto ciò, l’uomo che più di altri sa leggere le statistiche epidemiologiche ha avvertito il dovere di mettere tutti sull’attenti, preannunciando che “nei prossimi giorni e fino alla prossima settimana continueremo” ad assistere ad una crescita dei numeri del contagio e dei decessi.

Ancora sette, forse dieci giorni di passione attendono dunque l’America dietro l’angolo di un’emergenza che sta facendo litigare di brutto la classe politica.

Non si attenuano, infatti, le polemiche dei governatori che accusano il governo di averli lasciati soli. A tornare alla carica ieri è stato Andrew Cuomo, già protagonista di una zuffa mediatica con Trump per via dei respiratori promessi e mai arrivati in una metropoli come New York ormai prossima al collasso sanitario.

Per calcare la mano, nel suo briefing di ieri il governatore ha usato una metafora tecnologica: “È’ come se mi trovassi su Ebay con cinquanta altri Stati a partecipare ad un’asta per un respiratore”.

E non ci sono solo i respiratori. Sempre ieri, il governatore del Maryland, Larry Hogan, si è lamentato dell’imminente esaurimento delle scorte di un altro presidio irrinunciabile come i kit per effettuare i test diagnostici. E a chi, nella fattispecie NPR, gli ha chiesto cosa pensasse delle parole di Trump secondo cui non esiste alcuna carenza nel paese di materiale sanitario, Hogan ha risposto semplicemente che “non è vero”.

E possiamo solo immaginare la reazione, tra lo sbigottimento e la frustrazione, dei governatori d’America nell’apprendere da vari media tra cui la CNN, che  i 2 mila respiratori in dotazione alle forze armate che il Pentagono, su esplicito impegno preso il 17 marzo dal suo n. 1 Mark Esper, doveva mettere a disposizione della Federal Emergency Management Agency e del Department of Health and Human Services sono ancora al loro posto.

Dinanzi ad un simile enigma, la risposta del capo della logistica del Dipartimento della Difesa, tenente Giovanni Tuck, è stata più o meno che nessuno ha fornito ai militari gli indirizzi a cui recapitarli.

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