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Bnl, Tim, Parmalat, Luxottica. Tutti gli assi della lobby francese in Italia

L'approfondimento dell'editorialista Guido Salerno Aletta fra cronaca, storia, politica, industria e finanza

Parliamone pure, perché non è un segreto. Una lobby francese in Italia c’è, eccome. I collegamenti sono tanti, innanzitutto di tipo personale. Basta scorrere l’elenco dei tanti personaggi, soprattutto politici, che negli ultimi anni sono stati insigniti della Legion d’Onore e leggerne le rispettive motivazioni. Queste, pur nelle diverse espressioni verbali, possono essere raggruppate in due categorie ben distinte, in quanto individuano altrettanti orientamenti ed ideali: da una parte ci sono coloro che si iscrivono nella ampia tradizione laico-socialista e della sinistra democratica, e dei quali viene riconosciuta la particolare vicinanza alla Francia: per aver contribuito al miglioramento delle relazioni tra i due Paesi; per l’amicizia dimostrata alla Francia; per i forti legami intrattenuti durante il suo incarico di Ministro con la Francia; per l’impegno a favore di una sempre più stretta collaborazione con la Francia nel campo della Difesa. Addirittura, in un caso, per conclamata “francofilia”.

IL CASO DELLE LEGION D’ONORE

La seconda categoria comprende coloro che sono stati insigniti della Legion d’Onore in quanto condividono l’ideale europeista: hanno una spiccata matrice cattolica, o radicale. In questo caso, le motivazioni riconoscono: la militante europea; la volontà di costruire un’Europa comune; il sincero europeista che lotta per l’Europa; l’Europeo convinto, economista brillante e politico al servizio dello Stato. Amici tout court della Francia, oppure amici della Francia che condividono il comune ideale europeo.

LOBBY E NON SOLO

Non c’è, ovviamente, solo una lobby francese: c’è, e da lunga pezza, quella che si tiene per mano con la Gran Bretagna, che risale in Sicilia addirittura ai tempi della presenza inglese volta ad impedire il controllo dell’Isola da parte di Napoleone Bonaparte. C’è poi quella filo-tedesca. L’ultima ad essersi formata, in termini storici, è quella filo Atlantica. I collegamenti italiani con il mondo della finanza, di volta in volta francese, inglese, tedesca o americana, sono ovviamente ben altra cosa, dacché seguono filoni propri. Ci si muove dunque in una sorta di quadrilatero delle forze, in perenne movimento.

I LEGAMI STORICO ITALIA-FRANCIA

I legami italiani con Parigi si tessono ai tempi delle campagne napoleoniche e si consolidano con la liberazione del Lombardo Veneto dall’impero Austroungarico. Durarono fino alla svolta di Cavour, che fece partecipare il Regno di Savoia alla guerra di Crimea: occorreva impedire alla Russia di entrare nel Mediterraneo, questo era l’obiettivo inglese, per poi togliere di mezzo i Borboni che regnavano sulle Due Sicilie, dacché ospitavano nei loro porti la flotta dell’impero zarista. I legami con la Germania nascono dopo, in occasione della guerra franco-prussiana del 1870: la sconfitta di Parigi le impedì di difendere Roma dall’ingresso dei Savoia. Subentra la Germania, come potenza di riferimento, perché l’Inghilterra molla la presa sull’Europa per dedicarsi alla cura dell’Impero ed in particolare dell’India, lasciando così spazio ai capitali tedeschi che ebbero gran ruolo nello sviluppo dell’economia italiana nell’ultimo quarto dell’800 e fino allo scoccare della Prima guerra mondiale.

IL RUOLO DI NAPOLEONE

Detto chiaramente: Bonaparte non aveva in mente l’unificazione dell’Italia, ma solo l’estromissione delle altre Potenze e la formazioni di tanti piccoli Regni da assegnare ai suoi familiari. Lo stesso fu per Napoleone III: difendere il Papato, ma soprattutto lo Stato Pontificio, significava impedire la Unificazione. Ancora oggi, per la Francia, l’Italia è fatta di pezzi e bocconi, un tempo territoriali, ora industriali o finanziari, che servono a dare consistenza alla sua dinamica imperiale.

ESPANSIONE PER ACQUISIZIONI

È una espansione che si compie per acquisizioni. Un modello completamente diverso rispetto a quello della Germania, che si estende per contiguità e propaggini territoriali attraverso la integrazione produttiva e finanziaria. Quella del Veneto, così come di alcune provincie lombarde della Lombardia, segnatamente Bergamo e Brescia, con il sistema industriale della Germania meridionale, ed in particolare della Baviera, non ha niente a che vedere con il modo di operare francese, che in Italia acquisisce soprattutto grandi imprese aziende, per fare volumi.

I RECENTI CASI ITALIA-FRANCIA

Ormai da diversi anni non ci sono più grandi sortite industriali di iniziativa italiana in Francia, che rappresenterebbero una sorta di innervatura geoeconomica: la recente vicenda Fincantieri-Stx, rara avis, con tutte le difficoltà ancora in corso, lo dimostra ampiamente. Sono i gruppi francesi, invece, che hanno messo a segno continue acquisizioni: dalla Bnl alla Montedison, da Parmalat a Mediaset, fino a Tim. La presenza positiva nella grande distribuzione commerciale è altrettanto ben nota, da Carrefour a Auchan. Le combinazioni più significative sono quelle in STMicroelecronics e fra Luxottica ed Essilor.

GLI ASSI STRATEGICI DELLA LOBBY FRANCESE IN ITALIA

Gli assi strategici della lobby francese in Italia sono dunque due: da una parte sostiene direttamente l’amicizia tra i due Paesi e dall’altra è indirizzato alla realizzazione del comune ideale europeo. Sempre due sono le tipologie di intervento in capo economico: quello finanziario di alto livello gravita storicamente attorno a Milano, non disdegna l’ambizione di acquisire una qualche influenza su Trieste, e recentemente si è sviluppato soprattutto nel segmento della raccolta e gestione di risparmio. L’interesse per le nostre imprese è ben dimostrato dalla presenza dei capitali francesi che nel complesso arrivano a detenere il 10% delle quotate nella Borsa italiana. Il rammentato ingresso nel controllo di grandi imprese non ha avuto sempre entusiasmanti successi. Le lobby servono; ma comprare, molto spesso, non basta.

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