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Tutte le piroette della Francia sulla Cina

Fatti e parole su Cina e dintorni analizzate dalla professoressa Daniela Coli

Il governo giallo-verde sventola la bandiera dell’antieuropeismo, ha proposto addirittura l’uscita dall’euro, ma siamo davvero sicuri che questo sia l’obiettivo del governo Conte? Il bersaglio è l’asse franco-tedesco, ma non c’è governo italiano che non abbia tuonato contro l’asse franco-tedesca, tentando di allearsi con la Francia o la Germania per metterla in crisi e senza riuscirvi.

La polemica è ancora più forte dopo il Trattato di Aquisgrana, con cui Francia e Germania hanno deciso di integrare politica estera, difesa, sicurezza, e creare un’area economica comune. I due parlamenti si sono già riuniti il 25 marzo per sottolineare la cooperazione bilaterale, come ha detto Schäuble, nel contesto europeo, aggiungendo che se il motore franco-tedesco non funzionasse, l’intera Europa rallenterebbe. Nella stessa giornata, Macron ha accolto con grandi onori il presidente cinese Xi Jinping, parlando di partenariato tra Ue e Cina.

E a Parigi il 26 marzo sono arrivati anche Merkel e Juncker per sottolineare la partnership europea con la Cina e per preparare il vertice del 9 aprile tra Ue e Cina. Tuoni e fulmini in Italia, perché Macron ha venduto 300 Airbus alla Cina per un valore di 30 miliardi, mentre l’Italia avrebbe solo svenduto i porti di Triste e Genova alla Cina, mettendo in crisi i rapporti con gli Stati Uniti. Anche lamenti contro la Francia che pugnala l’Italia alle spalle, criticando il MoU, mentre vende Airbus. Polemiche sterili perché dagli anni ’70 fino al 2001, l’Italia è stata invitata più volte a far parte del consorzio europeo dell’Airbus ( prodotti a Tolosa e Amburgo), ma ha sempre declinato preferendo il Boeing americano, ora in crisi dopo il disastro dell’Ethiopian Airlines e altri incidenti. La Francia, inoltre, come ha mostrato Paolo Bricco, in denso articolo sul Sole 24 Ore non ha bisogno di cambiare politica estera perché commercia con la Cina dagli anni ’70, né può essere accusata di attentare all’atlantismo, perché ha sempre avuto una politica estera non appiattita sull’atlantismo. Con De Gaulle la Francia nel 1966 uscì addirittura dalla Nato in nome della “sovranità nazionale” e ci è rientrata nel 2009 con Sarkozy. Le frecciate di francesi sul MoU firmato dell’Italia che rischia di ledere l’atlantismo sono piuttosto una piccola Schadenfreude del presidente francese contro il governo giallo-verde che insieme a Trump incita i gilet jaunes a buttare giù Macron.

In realtà, la posizione del governo giallo-verde nei confronti dell’asse francese non è diversa da quella dei precedenti governi e questa posizione “antieuropea” risale alla politica estera italiana uscita immutata dal fascismo e sempre incentrata su Mediterraneo e Africa. I nemici dell’Italia rimasero sempre la Francia e la Gran Bretagna per il Mediterraneo, alleati a Usa e Urss, per erodere posizioni commerciali francesi e inglesi. Dopo la riunificazione della 
Germania, anche la Germania è diventata nemica. Con la fine della guerra fredda, l’Italia è diventata marginale a livello internazionale: si pensi al solo fatto che a Berlino arriva il gas di Putin, mentre a South Stream si sono opposti Usa ed europei.

Paradossalmente, la novità del governo giallo-verde è proprio l’adesione alla BRI ed è in linea con l’interesse Ue. “Se si considerano gli investimenti paralleli della Cina in Africa, non è difficile vedere Trieste come centro di una rete di infrastrutture per collegare la Cina con l’Ue. E questo è ciò che sta alla base dell’iniziativa Belt and Road”, ha scritto Wolfgang Munchau su Eurobriefing. Nonostante le preoccupazioni italiane di incrinare il rapporto con gli Usa e con l’Europa, l’Italia con la BRI non è contro l’Ue e neppure contro gli Stati Uniti, che commerciano con la Cina e stanno solo rinegoziando i dazi di una trade war che finora ha danneggiato entrambi i paesi e inquieta giganti come Apple che hanno visto crollare le vendite a Pechino.

È anche chiaro che, a differenza della Francia, la cui posizione internazionale non è cambiata dopo l’accordo commerciale con la Cina, con la firma del MoU la posizione politica dell’Italia è, almeno formalmente, cambiata rispetto all’atlantismo, nonostante esso sia stato messo in crisi dallo stesso Trump. Va anche ricordato che né in campagna elettorale, né nel famoso contratto di governo si era parlato di un accordo con la Cina, quindi, il governo del cambiamento si è comportato come tutti gli altri governi e la formula “in nome del popolo sovrano” suona piuttosto ipocrita.

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