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Tunisia

Tutte le grane a 5 stelle di Giuseppe Conte

Che cosa succede al Movimento 5 Stelle e che cosa farà Giuseppe Conte? Il commento di Gianfranco Polillo

 

Alla fine sarà forse il black out a dare il colpo di grazia alle speranze dei 5 stelle? Quell’interruzione che renderà inservibile i dati del proprio sistema, né più né meno come avviene ogni qual volta si esce da un Pc, senza aver salvato il proprio lavoro. Ed anche se oggi è più difficile che questo avvenga, a seguito dei miglioramenti apportati nei sistemi operativi, in passato l’evento era traumatico. Capitava, pertanto, di aver lavorato ore per poi perdere tutto il lavoro svolto, per una semplice interruzione – bastava un attimo – di corrente. Gettando tutti sull’orlo di una crisi di nervi.

Sono immagini che tornano alla mente nel leggere la querelle tra il MoVimento e Davide Casaleggio. In gioco ci sono 450 mila euro. Gli arretrati richiesti ai portavoce del movimento per l’uso passato della rete. Quell’infrastruttura informatica dal nome roboante – Rousseau – che doveva garantire il passaggio dalla democrazia parlamentare a quella diretta: dove “uno vale uno” ed il capo, con un semplice click, può decidere i destini del proprio mondo. Sistema indubbiamente poco costoso, rispetto alla complessità della tradizionale organizzazione di partito (sedi, funzionari, mezzi di propaganda e via dicendo), ma anche meno controllabile dai singoli militanti. Ai quali era stato sottratto anche il nome, trasformandoli in attivisti. Un salto indietro di cento anni: Belgio 1916 il movimento indipendentista dei fiamminghi.

Ed ecco allora che Giuseppe Conte, da “avvocato del popolo” è destinato a trasformarsi nel semplice avvocato di Beppe Grillo, per portare in tribunale il figlio del cofondatore del movimento – Gianroberto – al fine di ottenere il controllo di quel prezioso data-base. Senza il quale la memoria organizzativa del movimento è destinata a perdersi. “Non si può bloccare la vita del partito di maggioranza in Parlamento per la pretesa economica di un privato che gestisce un sito web”: questa, a quanto riporta la stampa la giustificazione del ricorso. Che se, se tutto andrà bene, tra memorie e carte bollate, richiederà un tempo di definizione incompatibile con i ritmi della politica.

Ed i primi effetti già si sono visti. Dalle dimissioni di Giuseppe Conte, intervenute il 26 gennaio, sono passati più di due mesi. Ed il MoVimento ed ancora orfano. Diretto da Vito Crimi, in apparenza. Ma di fatto nelle mani di Luigi Di Maio e di Roberto Fico, con Beppe Grillo, pardon l’Elevato, a far da corifeo, come in un’antica tragedia greca. Per capire la differenza basti guardare alla rapidità con cui una “vecchia” struttura come quella del Pd (cento anni di storia) ha saputo reagire alla sua crisi interna. E con quale rapidità. Il fatto è che Giuseppe Conte, prima di accettare l’incarico di leader vuole essere sicuro di non trovarsi in un mare di guai. In mezzo ad una comunità litigiosa oltre misura e senza radici sociali. Essendo la struttura amministrativa di supporto in mani nemiche.

Davide Casaleggio, infatti, non è solo un erede di famiglia. Per quanto più che discreto sul piano politico, non ha mai nascosto il suo dissenso per la piega assunta dal MoVimento. Quella sua facile rinuncia alle proprie origini. Quel rapido passaggio dalle barricate dell’”onestà, onestà, onestà” all’imbarazzante assunzione di Silvia Di Manno, compagna di Gianni Lemmetti, l’assessore al bilancio del Comune di Roma, presso gli uffici dell’Urbanistica del Campidoglio. Facilmente scoperta e costretta alle dimissioni. Ma ormai la frittata era stata fatta. Ed ad essa aveva fatto seguito l’abbandono di Gemma Guerrini, approdata, dopo un nobile discorso di denuncia, nelle file del gruppo misto capitolino. Per incontrarvi due altre transfughe: Maria Agnese Catini e Monica Montella. Risultato? Virginia Raggi, in Campidoglio, non ha più la maggioranza.

Ormai è uno stillicidio che aumenterà se i tempi del passaggio del testimone a favore di Giuseppe Conte, dovessero allungarsi a seguito delle vicende giudiziarie. Il principale gruppo parlamentare italiano – su questo l’avvocato del popolo ha ragione – é stato decapitato. Prima della crisi, era stata decisa una sorta di segreteria politica: da molti vista come la definitiva capitolazione alle esigenze della real politique. Altro che rivoluzione mite, nel segno della transizione ecologica. Nuova bandiera, un po’ appassita, di quel che rimane di quella storia. Ma comunque un segno di vita. Le aspettative salvifiche, riposte nella figura di Giuseppe Conte, hanno invece congelato tutto, lasciando nelle mani di Vito Crimi il bastone di un comando. Che tale non è più. E senza il quale lo stesso indirizzo politico non può che degradare.

Non resta quindi che aspettare. Lo stesso Enrico Letta è in imbarazzo. Deve incontrare i vertici del movimento. Ma non é in grado di sapere fino a che punto Giuseppe Conte sarà l’uomo giusto. Quale sarà il suo ruolo effettivo, al di là dell’’investitura di Beppe Grillo. Soprattutto chi rappresenterà? La non disponibilità di Rousseau, con il suo voto on line, per quanto manipolabile, da questo punto di vista, rappresenta uno scoglio difficilmente superabile. Il capo di un qualsiasi partito politico ha bisogno di una legittimazione che deriva dalle forme della propria organizzazione. Nel caso dei 5 stelle, invece, quest’impalcatura è venuta meno ed è difficile da sostituire con qualcosa di diverso. Ed ecco allora che crisi politica da un lato e crisi organizzativa dall’altro rischiano di fondersi, dando luogo ad un tutt’uno, che può rappresentare un punto di non ritorno.

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