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Tutte le bacchettate oblique dell’Osservatore Romano su Russia, armi e guerra

Chi voleva criticare L'Osservatore Romano? Fatti, nomi, ipotesi e suggestioni. Il corsivo di Andrea Mainardi

 

“Il Papa parla di pace, ma…”. Con questo titolo, L’Osservatore Romano uscito il pomeriggio del 28 marzo, manda in prima un editoriale che fa quel che un editoriale deve fare: provocare domande. Pazienza se non completa l’altro compito che parrebbe d’uopo. Non di dare risposte. Lo spazio è già ampiamente occupato dagli analisti talk. Però quello di tracciare un percorso, delineare un preciso obiettivo, un editoriale d’Oltretevere aiuterebbe a schiarire un poco le idee.

QUI L’EDITORIALE DE L’OSSERVATORE ROMANO 

Lamentarsene però è ingeneroso. In fondo L’Osservatore lo fa, dal cuore di un pontificato che dal 2013 ha invitato a riflettere sui quattro criteri guida che l’editore Francesco elenca e illustra nel documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione Evangelii gaudium. Del 2013. “Il tempo è superiore allo spazio” è il primo dei quattro. Nel 2016, in Amoris laetitia, il Papa ricorda che con quel principio intende che “si tratta di generare processi più che dominare spazi”. Desidera “ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. Quindi un “ma” avversativo e un po’ di vaghezza non guastano. Aiuta i processi, magari stimola la parresia. O forse non più?

Scrive Andrea Tornielli, direttore editoriale del dicastero per la Comunicazione: “’Il Papa parla contro il riarmo, ma… Il Papa fa il Papa, ma… Il Papa non può che dire ciò che dice, ma…’. C’è sempre un ‘ma’ che in tanti imbarazzati commenti accompagna l’inequivocabile no alla guerra pronunciato da Francesco, per contestualizzarlo e depotenziarlo. Non potendo interpretare nel senso voluto le parole del Vescovo di Roma, non potendo in alcun modo ‘piegarle’ a sostegno della corsa al riarmo accelerata a seguito della guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, allora se ne prendono elegantemente le distanze, dicendo che sì, il Papa non può che dire ciò che dice ma poi deve essere la politica a decidere. E la politica dei governi occidentali sta decidendo di aumentare i già tanti miliardi da spendere per nuove e sempre più sofisticate armi”.

Chi sono gli obiettivi dell’editoriale? Chi derubrica le parole del Pontefice ad “appelli di circostanza”? Poi, quella critica ai commentatori che secondo L’Osservatore, sostengono: “il Papa non può che dire ciò che dice ma poi deve essere la politica a decidere”.

Non è Francesco a rifiutare commenti politici puntuali per non immischiarsi? Replica Tornielli: “Il no alla guerra di Francesco, un no radicale e convinto, non ha nulla a che vedere con la cosiddetta neutralità né può essere presentato come una posizione di parte o motivata da calcoli politico-diplomatici”.

Però si bacchetta. Chi? Perché gli indiziati si affollano. Non si comprende fino in fondo il richiamo dell’Osservatore: è alla politica o ai gazzettieri? O a tutte due le categorie?

Il 24, Francesco ha confessato di “essersi vergognato” perché “un gruppo di Stati si è impegnato a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso”. L’ha definita “La pazzia!”. I giornalisti italiani hanno subito interpretato la frase come una critica al governo Mario Draghi. Hanno interrogato il premier, che da Bruxelles ha risposto a una domanda del cronista di Avvenire che chiedeva conto delle spese per la Difesa: “Il 2% del Pil per spese militari? È un impegno preso dal governo italiano nel 2006, sedici anni fa, sempre confermato dai governi da allora, senza grandi discussioni”. Il Papa si vergogna. Draghi replica, e il twitter di Palazzo Chigi riprende:

Quindi non pare essere Draghi l’obiettivo. Per lo meno non solo lui. Comunque lui si tira fuori.

Allora è Joe Biden, presidente dello Stato capofila della coalizione atlantica che da anni, non giorni, chiede agli stati membri della Ue di fare economicamente di più? E che adesso impone nuove sanzioni alla Russia? Papa Francesco non ha infatti forse detto anche: “La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo?” Draghi precisa però che l’aumento della spesa per il riarmo non è per la Nato, ma “avviene all’interno della difesa europea” che è “fondamentale per arrivare all’integrazione politica”. “La garanzia di una difesa europea è la garanzia che noi saremo sempre alleati, non ci faremo mai più la guerra”.

Allora è colpa dei giornali!

Avvenire, che direttamente ha nulla per essere confuso con la Santa Sede, in quanto quotidiano della Cei, il 26 aveva già titolato: “Papa Francesco grida contro le armi, ma i media (non tutti) lo snobbano”. Si dà conto dei titoli e dello spazio dato da giornali e tv alle parole di Francesco. A commento, il giudizio del segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. Conferma: anche molti giornali stampati hanno “silenziato, oscurato, cancellato il grido di Papa Francesco”. Avvenire non manca di ricordare ai suoi lettori: “Il Messaggero, e Il Giornale, snobbano completamente la questione non ritenendola meritevole neppure di una riga nelle pagine interne”. Francesco ha in passato rivelato di sfogliare generalmente solo due quotidiani: il suo Osservatore e Il Messaggero. Che il silenziamento non gli sia piaciuto al punto di chiedere all’Osservatore di farlo sapere urbi et orbi?

E se invece la questione fosse tutta interna?

Scrive L’Osservatore: “In questa guerra ci sono gli aggressori e ci sono gli aggrediti. C’è chi ha attaccato e ha invaso uccidendo civili inermi, mascherando ipocritamente il conflitto sotto il maquillage di una operazione militare speciale; e c’è chi si difende strenuamente combattendo per la propria terra”. In realtà, dal 24 febbraio sono serviti un po’ di giorni ai media vaticani per chiamare le cose con esattezza. Il 12 marzo, Tornielli firma  un editoriale inequivocabile. Scrive:  “Le tragiche conseguenze di questa sporca guerra in Ucraina, ipocritamente definita ‘operazione militare speciale’, sono sotto gli occhi del mondo, con il loro carico di dolore, di sofferenza, di corpi innocenti straziati, di bambini uccisi, di famiglie divise, di milioni di profughi costretti a lasciare tutto per fuggire alle bombe, di città trasformate in campi di battaglia, di case sventrate e bruciate. Per non parlare delle ferite dei cuori, che avranno bisogno di anni per guarire”; chiamando la guerra col nome di “aggressione dell’esercito russo in Ucraina”. Fino a contestare la giustificazione mistica del conflitto secondo il Patriarca di Mosca, Kiril. “L’odio e la violenza non si possono ammantare di teorie sullo ‘scontro di civiltà’, non hanno a che fare con fittizie motivazioni religiose. Questa volta sui due fronti ci sono uomini e donne che condividono la stessa fede cristiana e lo stesso battesimo. Di fronte allo scempio provocato dall’aggressione dell’esercito russo in Ucraina, e all’escalation bellica che ha innescato, con il rischio di trascinare il mondo in un conflitto nucleare”. Due giorni prima L’Osservatore aveva aperto la sua prima pagina con un titolo che più preciso non poteva essere: “Operazione militare speciale”. La definizione imposta da Putin, con sullo sfondo un’immagine del bombardamento dell’ospedale di Mariupol, per bambini e le loro madri partorienti sotto le bombe.

Subito dopo anche Francesco. All’Angelus di domenica 13 marzo ha detto di “inaccettabile aggressione armata”, e domenica 20, dirà “di violenta aggressione contro l’Ucraina”.

Non pochi avevano chiesto di dirlo con chiarezza da subito. Si è preso tempo. Invocando la pace dal primo istante, ma lasciando i giudizi sulle parti a un secondo step.

Non pare che nessuno possa fraintendere onestamente il no vaticano agli aumenti delle spese militari. Come il sì al dovere di aiutare l’aggredito, anche militarmente. A meno che non lo si voglia lasciare a difendersi dai tank e dai missili ipersonici con pietre e molotov casalinghe.

Non si può non osservare come l’uso generoso della congiunzione avversativa contestata dall’Osservatore ai derubricanti le parole di Francesco, stia in molti discorsi ecclesiali. Di una vaghezza dove c’è spazio per un po’ di tutto. Certo – ci mancherebbe – L’Osservatore  ci rammenta  che il Catechismo “contempla il diritto alla legittima difesa. E “pone però delle condizioni, specificando che il ricorso alle armi non deve provocare mali e disordini più gravi del male da eliminare, e ricorda che nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso ‘la potenza dei moderni mezzi di distruzione’”. Ma – sempre il ma – aggiunge il giornale: “Chi può negare che l’umanità si trovi oggi sull’orlo del baratro proprio a causa dell’escalation del conflitto e della potenza dei “moderni mezzi di distruzione?”.

Come ha detto domenica Francesco: “La guerra non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. Perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia”. “Ma”, impegno “di domani”, non mentre bombe e missili rendono impossibile anche la creazione di un corridoio umanitario sicuro. Il fermatevi è hashtag ripetuto per Francesco. E non perché è Papa. Deve esserlo per tutti. In primis la Russia di Putin e Kiril.

Tacciano le armi, invoca il Papa. Non fra due ore, subito. Ma la lettura letteraria, l’ermeneutica di immagini, spesso suggestiva, utilizzata in dieci anni di pontificato nei circoli attorno al Papa, non rende il doveroso omaggio alla complessità della realtà. Al massimo fornisce slogan ai frequentatori da talk, incendia dibattiti sterili tra commentatori politici a corto di polvere per inscenare risse verbali.

Tutta la questione è molto complessa. Ingarbugliata. Lo stesso Francesco il 26 novembre 2019, sul volo di ritorno dal Giappone, ammise di avere studiato il piano di un’enciclica dedicata a pace e non violenza. Ma di avere congelato tutto: “Sì – disse rispondendo ai giornalisti – il progetto c’è, ma la farà il prossimo Papa. Ci sono progetti che sono nei cassetti…: uno sulla pace, per esempio, è lì, sta maturando, e quando sarà il momento lo farò… Ma un’enciclica sulla non violenza ancora non me la sento matura, devo pregare di più e cercare la via”.

Il guaio è che se “si tratta di generare processi più che dominare spazi” – in un mondo già pieno di processi – il rischio non è che la pecorella finisce per smarrirsi e diventare asino in mezzo ai suoni?

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