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Emmanuel Macron Fintech

Perché secondo me le strategie di Trump, Macron e May sulla Siria non sono chiare

Nessuna delle sei guerre private che affliggono la Siria (Mosca, Washington, Teheran, Ankara, Hezbollah libanesi, Damasco) trarrà giovamento dall’azione di Usa, Francia e Gran Bretagna. Il commento del generale Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa Ormai sono trascorse diverse ore e dell’attacco alla Siria sappiamo già tutto. Tutto di quanto ci è stato…

Ormai sono trascorse diverse ore e dell’attacco alla Siria sappiamo già tutto. Tutto di quanto ci è stato detto, ovviamente. Ma sapremo anche il resto, non appena Macron (forse) ci farà sapere chi ha lanciato quei gas dei quali lui, solo lui, ha prove certe. Gli altri due moschettieri, Trump e l’ineffabile May, per attaccare sono stati costretti a fidarsi di quello che hanno detto dalla loro sede di Londra i “caschi bianchi” (chi sono?) e delle immagini delle secchiate d’acqua tirate in testa ad alcuni malcapitati dai medesimi caschi bianchi per decontaminarli quanto prima.

Ad ogni buon conto, tutto ciò che è accaduto lo sapevamo già prima, Voglio dire, prima che accadesse. Vuoi perché era stato ampiamente annunciato, vuoi perché ormai abbiamo capito che i Tre Moschettieri, quando si associano per questo tipo di imprese, poi le eseguono con moduli predeterminati, che non concedono alcunché alla fantasia. E’ solo questione di scala, non di metodo. Il falso scopo è sempre quello umanitario, ovvero la foglia di fico per fare, prima o poi, sopra tutto i fatti propri. Ciascuno dei tre ha le proprie ragioni: Trump ha voluto dimostrare che l’America è grande, forte, e non ha paura di nessuno. La May, che teme una futura, non lontana irrilevanza, ha voluto farsi notare battendo un colpo. Il più motivato forse è Macron, che all’interno comincia a scricchiolare in termini di credibilità e all’esterno (ovvero nella Ue) vuol dimostrare che la Francia è l’America dell’Europa. Quando questo trio si muove di conserva, c’è davvero da temere: l’attacco alla Libia del 2011 insegna. Ma non siamo ancora nella fattispecie.

Azione dimostrativa, è stato detto, ma di che cosa? Qual è il risultato? Dov’è la strategia del “dopo”? Non si comprende bene. Certo, dopo lo spavento di questa sculacciata, forse al-Assad per un po’ non giocherà più con i gas, sempre che siano suoi e che li abbia lanciati lui. Per il resto, se prima il mondo arabo, pur nelle sue molteplici divisioni, guardava ad Occidente con molto sospetto, ora che ha ricevuto dai Tre Moschettieri (d’Artagnan in testa) questo regalo unificante, probabilmente ora ci odia in blocco. Tutti. Regalo anche per al-Assad, che vede consolidarsi la sua posizione, e per Mosca e Teheran, che passano per moderati ragionevoli ed hanno ormai in tasca la nuova carta geopolitica del Medioriente.

Nessuna delle sei guerre private che affliggono la Siria (Mosca, Washington, Teheran, Ankara, Hezbollah libanesi, Damasco) trarrà giovamento da questa azione. Tutto come prima. O forse peggio, perché non è finita.

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