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Travaglio e Damilano non picchiano sulle novità in Rai. Gatta ci cova?

La settimana di Giorgia Meloni fra endorsement e critiche su commissari, Pnrr, Rai (con due significativi commenti di Travaglio e Damilano) e non solo. Il punto di Battista Falconi

 

Che a Giorgia Meloni giungano dichiarazioni di simpatia e di ostilità, endorsement e stroncature è ovvio e inevitabile. Quelle che partono da sostenitori, alleati e avversari sono ancora più scontate: la “scia” favorevole di ministri ed esponenti di Fratelli d’Italia, così come il coro di critiche delle opposizioni che si leva per qualunque ragione, fanno parte di un rito trito, quotidiano e stanco, che contribuisce ad allontanare i cittadini dalla rappresentazione che i media danno della politica. Per questo si cercano spesso figure presuntivamente “terze”, dalla cui opinione si possa ricavare un peso che sposti il piatto della bilancia in una o nell’altra direzione. È il caso in cui, come suol dirsi, si “tira la giacchetta”.

In questo senso viene sempre utile il Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ieri, celebrando i cento anni della nascita di Don Milani, ha rivolto un inciso di solidarietà, brevissimo quanto esplicito, al ministro Roccella, alla quale era stato impedito di parlare al Salone del libro. È però vero che, nei giorni precedenti e anche nello stesso contesto, il Capo dello Stato ha rivolto altre affermazioni che sono sembrate di tenore opposto, prendendo di petto per esempio l’eccesso di decretazione nel quale l’attuale governo è caduto. Così come i precedenti, a dire la verità: non a caso Daniele Capezzone, sul quotidiano che porta proprio questa parola come testata, contesta a Mattarella di avere sollevato la lamentela adesso, quando il malvezzo è atavico. Nei giorni scorsi, poi, il presidente se l’era presa con i concetti di razza ed etnia in un evento, quello dell’anniversario manzoniano, nel quale il tema non sembrava proprio così pertinente. Tutti ci hanno letto una critica alle affermazioni sulla “razza” del ministro Lollobrigida che, difatti, si è immediatamente pronunciato per dirsi d’accordo con quanto Mattarella aveva sostenuto.

Poi ci sono i fuoriclasse stranieri come il premio Nobel Joseph Stiglitz, che a Trento parla di “alto livello di incompetenza” dimostrato dal governo sul PNRR. In fondo la cosa ci sta, visto che parliamo di un economista e che le difficoltà italiane nel gestire il piano sono un dato oggettivo. Quello che forse al Nobel sfugge è che, anche in questo caso, il problema non è nato dall’attuale governo, che sta soltanto coagulando contraddizioni, limiti e difficoltà rinviabili ai precedenti esecutivi. Ma tant’è: la frase fa effetto, viene pronunciata in un agone importante come il Festival dell’Economia, e Repubblica cerca subito di schiacciare la palla con un’intervista pubblicata oggi, nella quale naturalmente si titola sulla “soppressione degli strumenti democratici”. Dai pur seri problemi amministrativi alla cancellazione dei diritti civili il passo è breve per chi, come il quotidiano romano, è abituato a cesellare i ragionamenti con la mannaia.

L’ospite straniero che capita in Italia per un evento occasionale e che viene interpellato come esperto di politologia è un classico, capita ogni volta che un vip di qualunque genere passa dalle nostre parti, abbiamo sentito persino attori e registi hollywoodiani – che probabilmente del nostro paese conoscono solo pizza, spaghetti e mandolino – concionare più volte sul rischio di fascismo. Ma a proposito di artisti vanno segnalate due interessanti dichiarazioni di segno diverso, cioè quelle di Arisa e Chiara Francini che, senza assolutamente scivolare in sperticate dichiarazioni di carattere melonista, hanno cercato di pennellare in chiaroscuro. Ne emerge però un sostanziale apprezzamento per la presidente del Consiglio, nel caso della cantante, e di forte critica per l’incapacità della sinistra italiana di raccogliere le istanze popolari, nel caso dell’attrice. Li registriamo a mero titolo di cronaca

Così pure, non si possono non notare i commenti pubblicati sul Fatto di ieri e sul Domani di oggi da due giornalisti, Marco Travaglio e il suo omonimo Damilano, che dovrebbero avere un atteggiamento fortemente contrario: non soltanto al governo in generale, ma soprattutto contro la cosiddetta “lottizzazione” che la maggioranza starebbe cercando di mettere in atto a viale Mazzini e Saxa Rubra. Il primo spiega efficacemente perché le critiche delle sinistre e del Partito Democratico alle nuove nomine siano illogiche: guarda caso, questa posizione viene espressa in coincidenza con l’astensione del consigliere in quota 5 Stelle durante il Cda Rai, che le medesime nomine ha permesso. Marco Damilano, pur usando toni di apparente condanna della cosiddetta “occupazione” dell’emittenza pubblica, in realtà mena fendenti molto più pesanti contro la sinistra, che l’emittenza ha occupato per lunghissimo tempo e in modo pesantissimo, senza però ricavare da tale egemonia un’effettiva, concreta e solida maggioranza politica. I due discorsi sono sensati e condivisibili, ma giusto un filino sospetti, visto che si tratta di due giornalisti che potrebbero ambire alla propria collocazione nei palinsesti Rai. Che questo potenziale interesse privato condizioni l’articolazione dei loro editoriali è un classico caso di “pensare male” con il quale ci si potrebbe “prendere”.

Ultima questione, quella del Commissario per la ricostruzione in Emilia, che ha fatto infuriare Giorgia Meloni quando se l’è vista porre come oggetto di domanda mentre si trovava davanti ai giornalisti, a margine del sopralluogo sulle zone alluvionate effettuato assieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Meloni ha risposto con la consueta efficacia, dicendo che la questione era assolutamente inopportuna nel momento in cui ancora si sta pensando ai morti, e che il problema ora è trovare i soldi, non decidere chi li spenda. Ma il dibattito prosegue già da molti giorni ed è curioso notare come i governatori di centrodestra appoggino la candidatura del loro collega emiliano Bonaccini, indipendentemente quindi dal colore politico, poiché la colleganza li porta a sposare la tesi che un commissario, per gestire il “post” di un evento calamitoso, debba “conoscere il territorio”. Un’espressione che suona un po’ come uno slogan. Non si capisce – in un’epoca di remotizzazione, digitalizzazione, intelligenza artificiale e big data – quanto incida il plus di competenza che il presidente di una regione offrirebbe per avere calcato più spesso un dato pezzo del nostro Paese, magari per ragioni elettorali. Peraltro, a questa ipotesi “analogica”, chiamiamola così, stanno rispondendo alcuni rumors che per il possibile commissariamento indicano un altro nome che quel territorio conosce bene, il vice ministro Bignami, e quelli di due tecnici come Bertolaso e Figliuolo, che la gestione delle emergenze l’hanno fatta come mestiere. Con risultati che ciascuno può valutare, nel bene e nel male.

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