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Strage di Viareggio, cosa ha stabilito la Cassazione

Il commento dell'editorialista Giuliano Cazzola

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio le condanne di diversi dirigenti di Ferrovie dello Stato e Rete Ferroviaria Italiana per la “strage di Viareggio, nella quale morirono 33 persone. La sera del 29 giugno 2009, un treno merci (di 14 carrozze provenienti dalla Polonia e dalla Germania, fornite di regolari documenti sui controlli effettuati) deragliò poco dopo aver superato la stazione di Viareggio in una località cittadina abitata. Trasportava GPL — gas di petrolio liquefatto — che fuoriuscì da uno dei carri cisterna del treno causando un incendio e l’esplosione di tre palazzine adiacenti alla stazione.

Tra le cause individuate per l’incidente, c’era il cedimento di un asse del vagone uscito dai binari (il che segnalava una carenza nei controlli che vanno ripetuti spesso prima che la lesione si allarghi e diventi pericolosa). Morirono 11 persone subito per le ustioni o per il crollo degli edifici, altre 20 morirono in ospedale nelle settimane e nei mesi successivi mentre 2 anziani, Angela Monelli e Italo Ferrari, morirono di infarto, probabilmente a causa dello spavento dovuto all’esplosione.

La Cassazione ha stabilito che si dovrà fare un nuovo processo, che però avrà un impianto di accusa piuttosto diverso. La Suprema Corte, infatti, non ha riconosciuto l’aggravante dell’infortunio sul lavoro, cosa che ha fatto scattare la prescrizione per le accuse di omicidio colposo. Nel nuovo processo verrà quindi valutato solo il reato di disastro ferroviario colposo. Le motivazioni della sentenza devono ancora essere pubblicate.

La sentenza ha provocato le proteste dei familiari delle vittime, alcuni dei quali presidiavano il “Palazzaccio’’.  Per loro si è trattato di “una vittoria’’ delle Fs, in sostanza dei poteri forti, della politica contro i cittadini che si sono visti rifiutare quella giustizia a loro avviso contenuta nelle sentenze di condanna dei precedenti gradi del processo. Gli ex amministratori Mauro Moretti (Fs) e Michele Mario Elia (Rfi), nel 2019, erano stati condannati rispettivamente a 7 e 6 anni di carcere dalla Corte di appello di Firenze: insieme a loro erano stati condannati altri dirigenti, come Vincenzo Soprano, ex amministratore delegato di Trenitalia.

Mauro Moretti, ex ad delle Ferrovie dello Stato tornerà – lui solo – a processo anche per l’accusa di omicidio colposo plurimo (il reato dichiarato prescritto dopo il mancato riconoscimento dell’aggravante dell’infortunio sul lavoro) poiché, nel corso del processo, ha rinunciato alla prescrizione. Si tratta di un gesto nobile e coraggioso, da parte di un imputato che ha subito una grave condanna molto discutibile e che sarebbe stato giustificato non solo per aver esercitato un diritto (nel suo caso di legittima difesa) ma per sottrarsi ad un processo che somiglia di più ad autodafé. I parenti delle vittime hanno diritto di ottenere giustizia, ma non una giustizia qualsiasi.

Non si pone riparo ad una strage degli innocenti attraverso la decimazione della linea di comando delle Ferrovie dello Stato. Ognuno di coloro che ha sofferto in conseguenza di quella tragedia, scevro da propositi di vendetta, avrebbe il dovere di chiedersi se la responsabilità oggettiva di un amministratore arriva al punto di essere accusato di eventi drammatici che avvengono in una notte d’estate a kilometri di distanza dal letto su cui stava dormendo. I familiari delle vittime e i cittadini di Viareggio hanno condotto per anni – con importanti e determinate iniziative – una lotta in nome del diritto alla giustizia.

Vi sono state delle sentenze di condanna annullate da una Corte appartenente a quello stesso ordine giudiziario a cui si erano rivolti. Capita ormai troppo sovente che la Cassazione, giudice del diritto, smentisca in tutto o in parte i giudici di merito, dopo interminabili odissee processuali. Ottenere una sentenza di colpevolezza per un imputato palesemente non responsabile significherebbe uccidere di nuovo quelle povere vittime sorprese di notte a Viareggio.

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