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Le parole di Stoltenberg sulla Russia? Opinioni personali. Parla Politi (Nato Defense College Foundation)

Cosa significano, davvero, le parole di Stoltenberg sull'uso di armi occidentali contro obiettivi russi e come decide la Nato. Conversazione di Startmag con Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation

Se anche il direttore della Nato Defense College Foundation Alessandro Politi pensa che le dichiarazioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, prefigurano una “escalation rischiosa”, e che la scommessa ventilata la si farebbe “sulla pelle degli ucraini”, esposti alle prevedibili reazioni scomposte della Russia, vi è ragione di credere che l’attuale dibattito sull’impiego delle armi occidentali contro obiettivi russi richieda se non altro qualche supplemento di riflessione.

Ecco cosa ha detto Politi in questa intervista a Start Magazine che dalle ormai famose parole di Stoltenberg attraversa l’intero spettro della discussione in corso fino a comprendere una pacata replica a quel Marco Tarquinio – l’ex direttore di Avvenire candidato nelle liste Pd alle Europee – per il quale la Nato andrebbe sciolta.

Cosa ne pensa delle parole di Stoltenberg?

Ritengo che Stoltenberg abbia espresso un auspicio ma soprattutto un’opinione personale.  

Secondo lei cioè le sue parole non rappresentano il pensiero della Nato?

È noto che all’interno dell’Alleanza il tema sollevato dal Segretario è oggetto di pubbliche discussioni. Quelle cose le dice anche Macron. Da qui a dire che la Nato ora invita a fornire missili per colpire la Russia ce ne passa.

E dunque, se le parole di Stoltenberg non fanno testo, cosa pensa ora la Nato sul conflitto?

Se lo si vuole sapere basta poco: è sufficiente chiedere ai 32 ambasciatori in servizio permanente alla Nato in rappresentanza delle rispettive capitali da cui ricevono chiare istruzioni. Bisogna ascoltare la loro voce collettiva nei comunicati di vertice più che i politici che rilasciano spesso dichiarazioni estemporanee.

Ma di cosa si sta effettivamente discutendo in modo così animato in questi giorni?

Siamo di fronte a un dibattito attivato da precise richieste ucraine, che sono comprensibili, ma inquadrano il problema esclusivamente da un punto di vista militare, astraendolo dal quadro politico di fondo. Del resto non può che essere così: chi è in guerra è come se stesse in un tunnel. Viceversa noi, che non siamo in guerra, non possiamo ignorare le conseguenze delle nostre azioni e decisioni.

E quali sarebbero queste conseguenze?

Per me è chiaro che saremmo di fronte a un’escalation rischiosa. Ricordo che quando qualche capo di governo ha accennato alla possibilità di inviare truppe in Ucraina, la risposta di Putin è stata quella di ordinare l’avvio di esercitazioni con armi nucleari tattiche. Naturalmente sappiamo che durante la guerra fredda di esercitazioni del genere se ne facevano regolarmente, ma sarei cauto a liquidare quello di Putin come un bluff. Non farei soprattutto una scommessa del genere sulla pelle degli ucraini.

Questa prudenza, peraltro, caratterizza anche la Casa Bianca, vero?

La linea di Washington è mobile ma sostanzialmente chiara, e le idee chiare ce le ha anche Trump, il quale con Biden litiga su tutto ma non su questo. Ricordo che Trump è quello che ha detto che, se eletto, farebbe la pace in cinque minuti.

Ma a questo punto come dovremmo aiutare gli ucraini?

Gli ucraini sono quelli che finora hanno retto, anche senza i missili che adesso chiedono. Tra l’altro anche gli armamenti di cui è previsto l’arrivo non faranno purtroppo la differenza. Gli ucraini possono essere aiutati stabilizzando il fronte, scongiurando sfondamenti da parte russa e cominciando a trattare per arrestare la guerra, rapidamente, ossia prima di novembre quando Trump sarebbe eletto. Sinora ha detto che chiuderebbe subito la partita.

Ossia come?

Quella di Trump rischia di essere una pace combinata tra Monaco e Kabul.

Addirittura?

Molto probabile. C’è da dire peraltro che solo nella bolla di Bruxelles c’è chi è convinto che la situazione possa protrarsi addirittura fino al 2025.

Ma allora come se ne esce?

Bisogna approfittare del fatto che a Putin ora conviene fermarsi, come agli ucraini.

Ha ragione Tarquinio quando dice che bisognerebbe sciogliere una Nato che, come dice qualcun altro, abbaia un po’ troppo?

Anche se siamo in campagna elettorale, rilevo che Tarquinio non fa altro che tentare di tradurre in politica alcune suggestioni molto interessanti di Papa Francesco sulla deterrenza. Tuttavia, il candidato del Pd non tiene conto di un fatto molto semplice: la Nato non si scioglie con un fiat, ma in linea di principio dopo il deliberato consenso dei suoi Stati membri. Tuttavia ogni stato può uscirne col preavviso di un anno (art. 13).

Le risulta che ci sia un consenso in tal senso?

Tutto il contrario, anzi adesso, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è Nato più che mai. Allo stesso modo, la proposta di Tarquinio di negoziare con gli Usa un nuovo accordo euro-americano alla pari sulla sicurezza non tiene conto di quanto tempo sarebbe necessario per discutere e approvare un nuovo trattato tra così tanti membri.

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