L’Europa continua a sorprenderci. Mentre il coronavirus mette in ginocchio l’Italia, l’Ue trova il tempo per colpire duro e impone all’Italia una sanzione di 7,5 milioni di euro per non aver recuperato aiuti economici illegittimamente concessi al settore alberghiero in Sardegna. Andiamo per gradi.
LA SENTENZA DEL 2008
Partiamo dal principio. Nel 2008 la Commissione Europea ha condannato l’Italia per aver concesso aiuti economici in favore di imprese alberghiere della Sardegna incompatibili con il mercato comune (distorsione della concorrenza). Il governo era dunque obbligato – secondo l’Ue – a recuperare gli aiuti dai beneficiari avrebbe dovuto rimettersi in tasca 13,7 milioni complessivi.
IL PRIMO RICORSO
Nel 2012, nell’ambito di un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione, l’Italia veniva nuovamente condannata per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti in questione.
IL RICORSO DEL 2018
L’Italia sembra, però, aver ignorato le ammonizioni dell’Ue e nel 2018 non si era ancora conformata alla sentenza. La Commissione Ue ha dunque proposto un secondo ricorso per inadempimento chiedendo alla Corte di condannare l’Italia al pagamento di una somma forfettaria nonché di una penalità.
L’IMPEGNO DELL’ITALIA NEL 2019
Nel 2019, l’Italia ha avviato il processo di recupero dei fondi. È stato recuperato l’89% dell’importo totale in conto capitale di tali aiuti, ovvero l’83% di tale importo in conto capitale maggiorato degli interessi.
LA SENTENZA DEL 2020
L’impegno è stato ritenuto non sufficiente dall’Ue, che ha deciso di condannare l’Italia. La sentenza è arrivata nelle scorse ore, in piena emergenza coronavirus: il BelPaese è costretto al pagamento di una somma forfettaria di importo pari a 7.500.000 euro. A questi dovranno essere aggiunti anche 80mila euro per ogni giorno di ritardo nell’applicazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2012 (tale penalità è dovuta dalla pronuncia della sentenza odierna fino alla data di completa esecuzione della sentenza del 2012).
La somma terrebbe conto della gravità dell’infrazione e la sua durata considerevole (oltre sette anni dalla prima sentenza della Corte).