Skip to content

salvini zaia

Il vero nodo del terzo mandato per i presidenti di regione

Perché nel centrodestra (e non solo nel centrodestra) si discute sul terzo mandato per i presidenti delle regioni. La nota di Paola Sacchi

Nella cosiddetta Prima Repubblica si usavano termini come “verifica”, “riequilibrio” e “staffetta” quando le cose non andavano benissimo. E si vide che effetti negativi ebbe per il Paese l’interruzione di fatto del governo Craxi, motore di grandi riforme che hanno lasciato il segno, ormai picconato da De Mita, con un maggior numero di voti del Psi ago della bilancia.

Ora, fare paragoni con il passato è sicuramente forzato, ma la diatriba apertasi nel centrodestra divisosi sul terzo mandato (Lega favorevole, FdI e FI contro) fa ripensare i vecchi cronisti politici a certe discussioni politichesi di una volta che suonavano già allora avulse dalla realtà e dal concreto interesse dei cittadini che hanno tutto il diritto di votare chi gradiscono di più.

Andiamo al dunque: la richiesta del segretario leghista, vicepremier, ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha un suo significato da non sottovalutare. Lo hanno declassato come l’emendamento salva-Zaia. A parte che è innanzitutto irrispettoso oltre che con i suoi elettori (una valanga costante che da molti anni supera il 60 per cento, a cominciare dalla prima elezione del 2010), forse è un po’ offensivo anche con lo stesso così plebiscitato governatore del Veneto, che dall’inizio del suo primo mandato si è dato il programma dell’Autonomia. Autonomia differenziata con cui vinse un referendum con oltre il 70 per cento.

“Luca” da Bibano di Godega Sant’Urbano (Treviso) è persona mite, umile come le sue origini (cameriere, operaio, estroso pr di discoteca per mantenersi agli studi), ma seria e tenace. E quel che ha promesso ai suoi elettori che lo hanno così premiato è immaginabile che intenda portarlo a termine da uomo di parola qual è. Il “Doge”, che abbiamo un po’ conosciuto, non è uomo alla ricerca di posti pur di avere un posto. I maligni hanno anche scritto nei soliti ormai stucchevoli retroscena in cui Salvini sarebbe il responsabile dei problemi dell’universo mondo, magari anche del meteo, che vorrebbe ricandidare Zaia per il timore che poi senza ruolo il governatore lo sostituirebbe alla guida del partito nel caso di una non buona performance leghista a Regionali e Europee.

Ma retroscena e gossip un po’ stantii a parte, il punto è politico. E soprattutto di metodo politico. È certamente comprensibile che FdI, diventato il partito maggioritario, aspiri ad avere almeno un importante governatore al Nord. Ma la matematica fredda applicata a tavolino non sempre va a braccetto con la politica dove due più due non sempre fanno quattro. E secondo queste logiche, che rischiano di diventare forzature da bilancino o “riequilibrio” a tavolino, da parte del partito maggioritario il centrodestra rischia di farsi del male da solo.

FdI impose, ad esempio, al posto dell’ex sindaco leghista Leonardo Latini, che vinse nel 2018, un suo candidato a Terni, la città delle Acciaierie e seconda dell’Umbria. Perse l’intera coalizione, vinse l’outsider Stefano Bandecchi. Di nuovi Bandecchi, usciti dal pasticciaccio di Terni che grava inevitabilmente anche sulle prossime elezioni umbre, gli italiani e il centrodestra non hanno davvero bisogno.

Il centrodestra ha sempre vinto soprattutto grazie alla sua compattezza e unità, a differenza dello sfilacciamento del centrosinistra. Si vince tutti insieme, la coalizione è a tre punte. Gli automatismi tra Politiche e voto amministrativo non sempre funzionano. Ognuno è indispensabile all’altro. Perché rischiare di umiliare l’alleato momentaneamente più debole, proprio in Veneto la terra della Liga, madre di tutte le Leghe? Perché umiliare un pezzo da 90 come Luca da Bibano di Godega di Sant’Urbano, vera risorsa non solo della Lega ma di tutto il centrodestra? Perché invece per parlamentari ed altri il mandato invece può essere infinito?

I voti vanno e vengono, a volte ormai nella politica italiana in un battibaleno. E le Europee non sempre sono la Bibbia. Piedi molto per terra. Se il centrodestra non vuole farsi del male da solo a fronte di una opposizione ridotta a brandelli.

Salvini ha già dovuto rinunciare, in nome dell’unità della coalizione, in Sardegna al suo candidato ex presidente Solinas.

Salvini ieri sera al Tg2 Post, smentendo dissensi tra lui e “Giorgia”, ha però osservato che non avere il terzo mandato e anche oltre per governatori e amministratori, mentre non ci sono limiti per parlamentari e ministri, “non è fare un torto a me o a Zaia, ma ai cittadini cui si impedisce di votare chi vogliono di più”.

E per un amministratore soprattutto il metro liberale della meritocrazia si misura sui consensi del territorio. Non in astratti giochi di potere di Palazzo.

Torna su