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Arnese

Salvini difende Renzi su Mancini (Servizi), la domandona di Belpietro su Amara, la tirchieria di Bill Gates

Fatti, nomi, numeri, curiosità e polemiche. Pillole di rassegna stampa nei tweet di Michele Arnese, direttore di Start

 

IL DOMANDONE DI BELPIETRO SU AMARA ED ENI

 

LA DOMANDINA DI VIETTI SU AMARA

 

CHI ALLOGGIA NELLA LOGGIA?

 

TRANQUILLI, IL COLLE SORVEGLIA

 

CAVOLI AMARI PER PER STORARI SU AMARA

 

MARCEGAGLIA SCHIFA AMARA

 

SALVINI DIFENZE RENZI SU MANCINI E REPORT

 

LE CHIESE DI MARCO MANCINI

 

LA CORRIDA MADRILENA ASFALTA IGLESIAS

 

LA TIRCHIERIA DI BILL GATES

 

PASS DRAGHIANO

 

REGIONI & VACCINI

 

VACCINI UNDER 18

 

FORZA FEDEZ?

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA SU AMARA, MARCEGAGLIA, SEVERINO, VIETTI E NON SOLO:

«Una via di mezzo tra una barzelletta e una mascalzonata». Michele Vietti, ex vicepresidente Csm, definisce così le rivelazioni dell’avvocato Piero Amara. In sintonia con gran parte dei personaggi tirati in ballo, come amici o nemici della «Loggia Ungheria», nell’interrogatorio con i pm Pedio e Storari, pubblicato dalla Verità. Tra i citati ci sono l’ex pm antimafia Sebastiano Ardita e l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, la ex presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, l’ex Guardasigilli Paola Severino, giudici, generali, avvocati.

Gli altri, in larga maggioranza, smentiscono. Spiega Vietti: «È un’accusa talmente grottesca che fa ridere, ma è anche molto grave. Perché inverte l’onere della prova. Come faccio a dimostrare di non far parte di un’associazione segreta che non si sa nemmeno se esiste? Mi ricorda i pentiti di mafia degli anni ’90. Per fuggire alle loro responsabilità dicevano quello che i pm volevano sentire e si sa come finì. Il problema è chi gli dà corda con quell’ampiezza di verbali. Di motivi per instillare veleni e vendette personali Amara ne ha molti». «Perché sarei stata chiamata in causa? Non saprei. Non ho mai frequentato e men che meno fatto parte di logge o “circoli” di qualsivoglia natura. Né ho mai conosciuto o incontrato l’avvocato Amara in vita mia», risponde Emma Marcegaglia. E aggiunge: «Anzi, fui proprio io come presidente dell’Eni, a decretare assieme agli organismi di controllo della società la sua cacciata».

All’epoca della sua defenestrazione l’ex ministro della Giustizia, Paola Severino, era capo del pool di legali dell’azienda. È citata nell’elenco dei presunti affiliati. Assieme a un nome che fa scalpore: quello dell’ex dirigente del Dap, Ardita. Fu lui da pm, prima del 2006, a chiedere e ottenere l’arresto di sette fra deputati ed ex deputati, un sottosegretario in carica e oltre duecento mafiosi. E di recente stava per provocare quello di Amara. Una vendetta? «È possibilissimo. Perché un collega, Stefano Fava, mi rappresentò la volontà di fare un esposto al Csm per i contrasti avuti in procura su un’indagine importante: proprio quella su Amara, che lui voleva far arrestare». Ardita gli chiese «di ricomporre, se possibile, il contrasto nell’ufficio, o di presentare un esposto formale». Assicurandogli che «gli avrebbe dato appoggio. Per l’accertamento fino in fondo della verità». Ma non ci fu. Di lì a poco si scatenò la bufera Palamara. Ricorda Ardita: «Non fu possibile sentire Fava perché dopo lo scandalo dell’hotel Champagne fu sottoposto a un procedimento penale dalla procura di Perugia che lo accusava di tentare di screditare il procuratore. Quindi il contenuto stesso dell’audizione, il contrasto con il procuratore, era già considerato parte del reato e diventò per noi impossibile convocarlo». Ma sui giornali la sua intenzione di appoggiare l’arresto di Amara filtrò. E ora Amara lo cita, ma come «pm di Catania». Ardita sorride: «Immagino che in quei contesti è importante sapere che lavoro si faccia. Io non ero più pm a Catania da 7 anni».

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Renzi, Mancini e i servizietti di Report

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Io, Renzi e Mancini. Il post di Ranucci (con la lettera della prof all’Autogrill)

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DE LA STAMPA SU MARCO MANCINI

Chi è Marco Mancini? Si sa che inizia da giovane brigadiere nell’Antiterrorismo, aMilano negli Anni Ottanta. Fa coppia fissa con Giuliano Tavaroli, altro brigadiere, che farà carriera nel settore privato. Il brigadiere Mancini, poi maresciallo, è svelto. Porta a casa i risultati. E dopo qualche anno passa ai servizi segreti, dove ritrova i suoi ex ufficiali, Umberto Bonaventura e Gustavo Pignero. Anche ai Servizi si occupa di antiterrorismo. Nel frattempo è esplosa l’emergenza islamista. Si dice che stringa un rapporto strettissimo con la Cia. Da Bologna, dove è capocentro, ha competenze su tutto il Nord. In questa veste, come scopriranno i magistrati milanesi Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, nel 2002 collabora al sequestro illegale dell’imam AbuOmar. Nel frattempo è diventato il braccio destro del capo, il generale Nicolò Pollari, tanto gradito a Berlusconi. Il suo volto diventa noto nel 2005, quando esce da un aereo tenendo sottobraccio la giornalista Giuliana Sgrena, appena liberata in Iraq. Nell’azione ci ha rimesso la vita il suo superiore, Nicola Calipari.

Qualche mese dopo, Mancini è arrestato per il sequestro di Abu Omar. Inseguito viene arrestato anche per le intercettazioni illegali Telecom contro politici e imprenditori, a cura del suo amico Tavaroli. In entrambi i processi, Mancini beneficia di un Segreto di Stato. La sua carriera però sembra arrestarsi. Torna all’Aise nel 2014 e si dice che sia in rotta con l’allora direttore, Alberto Manenti, un generale dell’esercito tutto d’un pezzo, e con il colonnello Sergio Di Caprio, Ultimo, che si è bruciato la carriera per antirenzismo. Presidente del Consiglio è appunto il nostro Matteo Renzi, che dice di essere in confidenza con Mancini da anni. Lui smania per tornare operativo. Passa al Dis. Quel che non gli riesce con il governo a guida Pd, potrebbe riuscirgli ora, dato che si è legato al sottosegretario grillino Angelo Tofalo, poi alla ministra Elisabetta Trenta, poi a Giuseppe Conte. Nel 2020, però, il premier non lo nomina vicedirettore, pare per un veto del Pd. E lui riparte con il gioco delle sette chiese.

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