Se le sanzioni mordono, Mosca non sta certo a guardare, anzi rilancia con nuovi e vecchi partner – Cina e Iran in primis – con cui rafforza i legami anche con iniziative infrastrutturali ambiziose che evidenziano la volontà del Cremlino di continuare a crescere e dominare. Ecco cosa scrive l’Economist in un approfondimento che mette in luce la strategia della Russia, il cui successo è tutt’altro che certo, di smarcarsi dalla morsa occidentale correndo verso nuove frontiere.
Lo slancio
Se le sanzioni hanno chiuso alcune strade al commercio russo, altre si sono aperte compensando le perdite. I legami con Paesi come la Cina e l’India si sono talmente rafforzati che ora Mosca mette sul piatto una ricca torta da 70 miliardi di dollari per colmare il gap infrastrutturale che rallentava finora i flussi commerciali in direzione dell’Asia.
Come ha sottolineato lo stesso Putin, l’apertura di nuovi collegamenti rappresenta “un esempio della più ampia cooperazione internazionale”.
Mutamento di rotta per la Russia
C’è stato un tempo, sottolinea l’Economist, in cui a Mosca non si avvertiva affatto il bisogno di investire in infrastrutture in Asia poiché il commercio con l’Europa era ritenuto più che sufficiente.
Ora però, con l’Ucraina in fiamme, è cambiato tutto, come testimonia l’esplosione degli scambi con Pechino che, grazie anche a forti vendite di greggio, hanno raggiunto la cifra record di 240 miliardi di dollari, due terzi in più rispetto a prima della guerra.
Da qui il rinnovato interesse per i collegamenti con la Cina, in uno slancio inaugurato nel 2022 con l’apertura del primo ponte ferroviario lungo quel fiume Amur che rappresenta il confine naturale tra i due Paesi.
Adesso si punta moltiplicare il volume dei cargo che transitano lungo la rotta del Mare del Nord, portandolo da qui al 2030 dalle attuali 36 milioni di tonnellate a 200.
Il progetto del corridoio INTSC
Un altro grande progetto in cantiere è l’International North-South Transport Corridor (INTSC), che dovrebbe collegare la Russia all’Oceano Indiano via Iran.
L’anno scorso Mosca ha deciso di stanziare la somma necessaria per costruire un tratto mancante di INTSC, rappresentato dalla ferrovia Rasht-Astara in Iran, compiendo una mossa attesa da un ventennio.
Come disse una volta lo stesso Putin, INTSC “diversificherà significativamente i flussi di traffico globali”, rendendo l’Iran un hub per le merci dirette in Medio Oriente e in Asia.
L’Iran, un partner strategico
A dire il vero, anche l’Azerbaigian, il Kazakistan e l’Uzbekistan stanno intervenendo sulle loro infrastrutture stradali e ferroviarie contribuendo al completamento di INTSC.
Questo è però un progetto in cui primeggia il ruolo dell’Iran, detentore insieme alla Russia di più di due terzi delle quote di investimento. Un ruolo talmente importante per Mosca, quello della Repubblica islamica, da farle accettare che i finanziamenti al progetto siano coperti per la parte iraniana da prestiti russi.
Incertezza
Ma questo fermento rischia di essere minato da una serie di fattori, non ultimo dalla riluttanza del settore privato a unirsi allo Stato nel finanziare progetti come INTSC.
Secondo la società russa Sherpa Group, gli investimenti dei privati nelle infrastrutture di trasporto sono addirittura in calo e dai 927 miliardi di rubli del 2022 scenderanno a 180 nel 2026.
Un altro elemento che rema contro un progetto come INTSC è rappresentato dalle frizioni con gli altri Paesi coinvolti, che rende difficile la pianificazione degli ulteriori step.
INTSC infine non solo non assicura risultati in termini di nuova domanda di beni che tutto è fuorché certa, ma potrebbe addirittura determinare un aumento della competizione tra le stesse Russia e Iran, che producono beni simili esportandoli sinora in mercati diversi.