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Habeck

Fallimento a Washington e aiuti alle aziende: chi critica e perché Habeck in Germania

La stampa tedesca ha criticato Robert Habeck per gli insuccessi del suo viaggio a Washington. Ma il ministro è sotto attacco dagli stessi consulenti del suo stesso dicastero per gli aiuti alle imprese. L'articolo di Pierluigi Mennitti.

Se il governo italiano ha fatto buon viso a cattivo gioco per la sortita statunitense dei due ministri dell’Economia di Francia e Germania in nome dell’Europa, in patria Robert Habeck non ha riscosso gli auspicati applausi. Non tanto per la mancata concertazione con Bruxelles e con le altre cancellerie europee (almeno quelle più importanti), dato che la convinzione che quel che è buono per la Germania sia anche buono per l’Europa è cosa abbastanza consolidata nell’establishment tedesco, quanto per i risultati concreti che il ministro vorrebbe aver portato a casa.

COSA (NON) HA OTTENUTO HABECK DAGLI AMERICANI

La Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quotidiano più autorevole del paese, non usa mezzi termini in un editoriale per tratteggiare il viaggio dei due ministri. Anche se hanno cercato di apparire sicuri di sé a Washington, il ministro Habeck e il suo omologo francese si sono presentati a Washington “come questuanti”, ha scritto il quotidiano, con l’obiettivo che le aziende europee abbiano lo stesso accesso all’offensiva dei sussidi americani delle aziende canadesi e messicane.

Ma non c’è da sorprendersi se gli americani non abbiano concesso quanto richiesto, prosegue la Faz: “Gli europei avrebbero potuto averlo se non avessero preso una strada sbagliata sei anni fa. I negoziati sull’accordo di libero scambio TTIP tra l’Ue e gli Stati Uniti sono falliti non a causa degli americani, ma a causa nostra. A causa del risentimento, ad esempio contro i polli al cloro, che in primo luogo avevano alimentato i Verdi di Habeck”.

Questa dovrebbe essere una lezione per il ministro dell’Economia, prosegue il quotidiano di Francoforte: il suo partito ha recentemente segnalato una maggiore apertura nella politica commerciale, ma sembra sempre essere votato alla ricerca di piccole convenienze personali (in tedesco su usa il termine Rosinenpickerei, prendere l’uvetta, cioè scegliere solo la parte migliore e più dolce di un tutto). Nel mirino dell’editoriale c’è il tentativo di spacciare per un successo un possibile accomodamento sugli investimenti per la transizione ecologica: “Nuove partnership solo per tecnologie verdi o determinate materie prime non sono sufficienti per dare all’economia tedesca stagnante la spinta tanto necessaria”. Giusto per ricordare che poi i media tedeschi da un viaggio in Usa si aspettano che Habeck difenda gli interessi dell’economia tedesca, non di quella europea.

CHI CRITICA HABECK DAL SUO MINISTERO

Una seconda tegola sulla testa di Habeck arriva dai consulenti del suo stesso ministero. Si tratta degli annunciati contratti di protezione del clima con il quale l’esponente dei Verdi vuole sostenere le aziende tedesche  nella trasformazione verso una produzione rispettosa del clima. Miliardi di euro da erogare alle aziende nel quadro di un progetto che secondo i consulenti comporta grandi rischi. Poiché i costi potrebbero essere immensi, il supporto dovrebbe essere limitato nel tempo.

Le riserve sono contenute in un rapporto del Comitato consultivo scientifico del ministero dell’Economia, organismo costituito da 41 scienziati indipendenti, in cui si afferma da un lato che i contratti di protezione del clima potrebbero essere utili quando si introduce una nuova tecnologia, per indurre le aziende a utilizzarla per la prima volta su larga scala. Ma poi si osserva che “tuttavia, essi rappresentano un profondo intervento dello Stato nelle decisioni produttive delle aziende e sono associati a numerosi e gravi problemi”. Per questo motivo dovrebbero essere utilizzati solo per il finanziamento iniziale di progetti pilota.

Nella mente di  Habeck i miliardi di finanziamenti attraverso questi contratti di protezione del clima aiuterebbero le aziende a compensare gli svantaggi di costo e promuovere gli investimenti in processi produttivi rispettosi del clima. In base a un contratto di protezione del clima, lo Stato garantirebbe dunque all’azienda un pagamento compensativo per compensare i maggiori costi di una produzione neutrale dal punto di vista climatico. Inoltre, l’azienda sarebbe protetta dalle fluttuazioni del prezzo della CO2 e da altri rischi. I primi contratti di questo tipo dovrebbero partire nella prima metà dell’anno.

CHI CONTESTA I CONTRATTI DI PROTEZIONE DEL CLIMA

Ma i consulenti del ministero ritengono che, così come è impostata, tale misura sia rischiosa. “I contratti di protezione del clima sono un profondo intervento dello Stato nel mercato e sono associati a una serie di problemi”, è scritto nel rapporto. Ad esempio, è difficile stimare come si svilupperanno i costi energetici nei prossimi 15 anni, ha spiegato il presidente del comitato, Klaus Schmidt, che insegna all’Università di Monaco. Secondo i piani del ministero – ha proseguito Schmidt – i contribuenti dovranno sovvenzionare la produzione per tutto il periodo della transizione e “questo porterà sicuramente a un sovrafinanziamento delle aziende”.

Anche il suo collega nel comitato consultivo, Achim Wambach, presidente del Centro per la ricerca economica europea (ZEW), teme che l’economia tedesca perda forza innovativa a causa dei trattati. Se il prezzo dell’acciaio rispettoso del clima è sovvenzionato dallo Stato, allora non conviene “farsi venire in mente una grande idea di come fare a meno dell’acciaio”, ha detto Wambach.

Certo, il comitato consultivo scientifico del ministero dell’Economia ha la reputazione di essere un organismo scomodo (e per questo inascoltato). Due anni fa esortò il governo federale a prolungare l’età del pensionamento a 68 anni. In seguito i 41 esperti consigliarono di abolire il freno al prezzo degli affitti.

E tuttavia, in suo supporto arriva ancora una volta la Frankfurter Allgemeine Zeitung, che gratifica Habeck di un secondo editoriale critico in due giorni. Quello che giunge dal Comitato di esperti indipendenti è “un avvertimento tempestivo contro i previsti trattati per la protezione del clima”, scrive il quotidiano, al Ministro dei Verdi non piacerà sentirlo ma il Consiglio ha buoni argomenti contro lo strumento di finanziamento centrale con cui Robert Habeck vuole garantire la competitività dell’industria durante la costosa conversione a processi e prodotti neutrali dal punto di vista climatico”.

Si ipotizza un periodo di 15 anni di costi aggiuntivi prima che i nuovi processi siano competitivi. E se “anche gli economisti orientati al mercato si rendono conto che la trasformazione richiederà elevati sussidi, tuttavia essi ritengono che i rischi finanziari per il settore pubblico attraverso i contratti di protezione del clima siano particolarmente elevati, perché in questo caso è difficile evitare sovvenzioni eccessive e c’è anche il pericolo di rallentare le innovazioni più economiche”.

Il consiglio della FAZ al ministro è quello di non fare orecchie da mercante alle obiezioni del “suo” comitato come fecero i suoi predecessori nei casi precedenti: “Habeck dovrebbe prendere sul serio il suo urgente riferimento a migliori canali di finanziamento. Una volta che gli aiuti di Stato sono stati decisi, è quasi impossibile fermarli politicamente, anche se mancano clamorosamente gli obiettivi e le casse sono vuote da tempo”.

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