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Maria Giovanna Maglie

Vi spiego il disastro di Biden in Afghanistan. Parla Maglie

L'intervista di Paola Sacchi a Maria Giovanna Maglie, scrittrice, giornalista, esperta di esteri, sul ritiro di Biden dall'Afghanistan e non solo

“Dopo aver raccontato che il presidente Donald Trump era uno squilibrato e l’arrivo di Joe Biden come il miracolo della democrazia riconquistata , ora per loro è molto difficile riconoscere lo spettacolo clownesco offerto dal presidente degli Stati Uniti. Ma ho fiducia che questo e altri colpi facciano risvegliare il sistema americano che è infinitamente più solido del nostro. Nell’Europa no, non ho fiducia”.

Del disastro Afghanistan, del ritiro delle truppe iniziato da Barack Obama, del “disastro della politica Dem” parla a tutto campo, in questa intervista per Start Magazine,  Maria Giovanna Maglie, giornalista, scrittrice, opinionista, a lungo inviata di Esteri.

Lei in tv ha ribadito che Trump negli accordi di Doha aveva anche posto come condizione una ulteriore, particolare forma di addestramento per le truppe  afghane. Ma Biden con il ritiro, contrassegnato da modalità e tempi disastrosi, da Kabul ha poi smantellato tutto. Eppure nella stampa mainstream si continua a fare un gran calderone mettendo errori, che pure ci saranno stati, di Trump sullo stesso piano di quelli di Biden. Che opinione ha?

La risposta purtroppo è semplice. Se per anni hai raccontato che il presidente Trump era uno squilibrato e  l’arrivo di Biden come il miracolo della democrazia finalmente riconquistata, riconoscere lo spettacolo clownesco offerto dal presidente degli Stati Uniti è molto difficile. Tanto vale ricorrere alla dietrologia. Nessuno ha avuto il coraggio di andare oltre una condanna blanda e generica, al solito anti-americanismo di maniera. Ma il disastro degli Stati Uniti , del Partito Democratico è e resterà per mesi sotto gli occhi di tutti. Penso solo alla strage all’aeroporto, alle bugie del presidente sul fatto che Al Qaeda era stata completamente eliminata dal territorio, all’altra bugia sul fatto che gli alleati erano stati avvisati ed erano d’accordo, infine all’ultima secondo la quale gli americani erano tutti al sicuro fuori dall’Afghanistan. Penso alle persone lasciate indietro che saranno trucidate perché hanno collaborato con l’Occidente, allo spettacolo deplorevole degli elicotteri da combattimento, delle armi, delle divise, in mano a un orda di incivili selvaggi assassini persecutori di donne. Ma anche di uomini perché i talebani e la loro legge, la sharia, colpiscono anche quelli che credono di crederci.

Trump forse doveva rendere più stringenti gli accordi di Doha o forse decidere che comunque sarebbe dovuta restare una presenza militare permanente, come ha detto Condoleezza Rice?

Sparare su Donald Trump e accusarlo di ogni nefandezza oggi è obiettivamente diventato più arduo. Gli accordi di Doha erano obbligati dopo il progressivo massiccio ritiro di forze militari americane effettuato da Barack Obama e dopo le sue spericolate aperture all’Iran e la politica totalmente sbagliata in Siria. Ma sfido chiunque a sostenere che il presidente Trump avrebbe lasciato centinaia di americani in Afghanistan per sbrigarsi e obbedire agli accordi fatti con i talebani di ritirarsi entro il 31 agosto. Lo sfido a sostenere che Donald Trump avrebbe lasciato preziosi armamenti americani nelle mani dei talebani. Infine, sfido a sostenere che se fosse stato usato tutto il tempo fino all’11 settembre per addestrare con 23 mila contractors , come stabilito dagli accordi, l’esercito afghano, le cose sarebbero andate allo stesso modo. Questo dicevano gli accordi di Doha e i fondi sono stati tagliati da Biden. E dicevano anche che niente sarebbe stato definitivo prima di un tavolo di trattative e compromesso tra governo regolare e talebani. Senza contare che la politica avviata con gli accordi di Abrantes aveva aperto rapporti completamente nuovi e diversi tra Israele e alcune Nazioni arabe, isolato l’Iran, quindi la rete di trattative avrebbe avuto un esito ben diverso, non l’attuale catastrofe.

Il mainstream di casa nostra esalta sempre i Dem Usa. Ma non si riesce, ad esempio, almeno a capire cosa successe tra il ticket Obama-Biden, con i quali iniziò il ritiro, e il primo premier a interim, dopo l’11 settembre, poi primo presidente eletto dell’Afghanistan, Hamid Karzai, in ottimi rapporti con Bush junior. L’Afghanistan è scomparso dai radar delle cronache per anni. Cosa accadde, secondo le sue ricostruzioni?

Una guerra per ripristinare la democrazia ha bisogno di molto impegno militare e di grande impegno di collaborazione civile per decenni. Venti anni non sono niente, non quando già dall’ultima parte della Presidenza Bush si mostra una grande debolezza, ci si piega alla pubblica opinione interna e alla scarsa collaborazione, anzi all’ostilità, internazionali. Appena eletto Obama, il discorso al Cairo di apertura alle teocrazie fondamentaliste islamiche ha cominciato a dare insieme alla ritirata la mazzata finale all’Afghanistan. I vari governi, compreso quello di Karzai, che a guardarlo oggi sembra naturalmente un paradiso, non hanno fatto niente per combattere la corruzione. Gli europei si sono limitati a portare magistrati, insegnanti, esperti di traffico e viabilità, ma non hanno mai combattuto, anzi hanno mostrato sempre fastidio per l’uso delle armi. Da un certo momento in poi queste missioni sono sembrate dei premi a funzionari brillanti che stavano lì al massimo un anno per poi tornare indietro ed essere sostituiti, e così non sono mai riusciti a stabilire un rapporto vero con le persone a cui dovevano insegnare qualcosa. È un vero peccato, visto che 53 militari italiani sono morti, ignorati.

Il professor Marcello Pera, ex presidente del Senato, nella nostra intervista per Start Magazine, ha detto che l’Occidente avrebbe dovuto ascoltare di più Karzai, secondo il quale ci sarebbe voluto appunto più tempo per cambiare anche la situazione delle donne. Che ne pensa?

Come ho appena detto, per contrastare un movimento tribale intriso di ignoranza, di fondamentalismo, privo di qualunque apertura mentale, feroce, ci vogliono decenni di massimo impegno militare accompagnati dal massimo impegno civile e da una lotta senza pietà alla corruzione. Non si trattava di esportare la democrazia, definizione che comunque non mi suscita alcuno scandalo, ma di ripristinarla. Invito a cercare e guardare le immagini dell’Afghanistan meno di un secolo fa, popolato di donne libere e laureate.

Il premier Draghi punta  sul G20 con il dialogo anche con Russia e Cina, ma Biden ha anche incassato il no talebano a una proroga rispetto al 31 agosto per l’evacuazione dall’aeroporto. Quali risultati potrebbe portare il G20?

Biden ha fatto di peggio, ha deciso di rispettare l’accordo del 31 agosto, infischiandosene di quello che lasciava dietro. Un po’ come l’Italia ha fatto, dimenticandosi di 80 studentesse dell’ Università La Sapienza di Roma. Vedremo che cosa Mario Draghi potrà ricavare da un G20 allargato con un interlocutore che in ogni caso è un protagonista, ma è anche tanto inadeguato, come Joe Biden. La politica estera non è come la finanza, è una brutta bestia e ci vogliono grande competenza politica e grande passione umana.

Pera ha denunciato, sempre su questo giornale, la resa dell’Occidente, che “non crede più a se stesso”, un Occidente “ora più a rischio anche di dittature e crescente egemonia cinese”. Un rischio quello della Cina sul quale lei ha scritto il libro “Il mostro cinese” (Piemme). L’epilogo di Kabul alla fine non è molto ma molto più disastroso di quello di Saigon?

Non credo nelle equiparazione tra la guerra perduta e combattuta in Vietnam e quella lasciata a metà e finita con una ritirata ignominiosa. Gli Stati Uniti ne escono indeboliti rispetto agli avversari storici, la Cina per prima e poi la Russia, che però non ha la stesso tasso di pericolo. Questa debolezza influirà sulle crisi future. Quanto alla Cina, per ora è soprattutto una prepotente, dispotica potenza commerciale, mi riferisco all’estero, non certo alla morsa orribile e al non rispetto dei diritti umani  quotidiano che si consuma dentro quella Nazione. Ha approfittato di una pandemia devastante per comprarsi pezzi di Europa. Ora crede che avrà partita vinta e mano libera su Taiwan. Ho fiducia che questo e altri colpi facciano risvegliare il sistema americano che è infinitamente più solido del nostro, e che gli ultimi anni di Woke, cancel culture, MeToo, vengano messi da parte assieme al successo di un Partito democratico ormai in balia degli estremisti. L’Europa no, l’Europa ha una antica vocazione suicida cullata da diritti civili inesistenti, da pacifismo esasperato, da ecologismi farlocchi, da senso dell’accoglienza masochista, e il tutto è tragicamente accompagnato a una tentazione dirigista che la risposta alla pandemia ha evidenziato in modo esemplare. La buona politica, che ancora c’è, deve avere un forte scatto di reni, liberarsi dalla sudditanza nei confronti dei tecnocrati, di ogni tipo e genere, da europeo al locale, e provare a fare le riforme che ti rimettono sul binario giusto. Ultima fermata.

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