Carlo Nordio tira dritto sulla riforma della giustizia.
Il tema centrale nel programma di governo di centrodestra compatta la maggioranza del governo di Giorgia Meloni e diventa il primo vero elemento politico caratterizzante di scontro con le opposizioni. Ad eccezione del “terzo polo” di Carlo Calenda e Matteo Renzi, su posizioni favorevoli, opposizione dura della sinistra dominata da Giuseppe Conte che anche sul reddito di cittadinanza è all’opera per tentare l’opa sul Pd.
La riforma della giustizia è stata sempre il tema dei temi nel dibattito politico e in passato anche esponenti di sinistra si sono detti favorevoli, ad esempio, a cambiamenti decisivi come la separazione delle carriere.
Ora invece il Pd che si è subito detto contrario alla riforma, seppur con toni diversi da quelli dell’ex premier e leader pentastellato, sembra voler mancare anche a questo appuntamento, seguendo a ruota l’offensiva delle “toghe” contro l’ex Pm, ministro della Giustizia, definito da alcuni media “berlusconiano”. Quando, invece, le posizioni di Nordio, eletto deputato con FdI, sono da sempre note e la separazione delle carriere tra chi indaga e chi giudica è garanzia di diritto e non una cosa “delle destre” e la “regolamentazione, non l’abolizione” delle intercettazioni è elemento “di civiltà”, come lo stesso Guardasigilli ha sottolineato. Ma ancora una volta il Pd manca l’appuntamento, seguendo a ruota l’offensiva togata.
Eppure, quanto all’uso fatto delle intercettazioni, Nordio ha ricordato con parole sdegnate le vittime che ci sono state tra i suoi stessi colleghi magistrati. Il Pd si appella alla riforma Cartabia e a quella precedente di Orlando che però non dettero un segno di svolta e lancia l’accusa di sempre secondo la quale si vorrebbe colpire l’autonomia della magistratura. Mentre in trent’anni la grande anomalia italiana ha segnalato l’inverso, cioè un uso politico della giustizia che ha inciso sull’autonomia della politica.
Ma lo scontro sulla giustizia fotografa le stesse posizioni di sempre, con la differenza che nel Pd, alle prese con il congresso e la sua crisi di identità, le voci riformiste e garantiste almeno finora sono state silenti, mentre quella “giustizialista” di Conte si leva sempre più forte.
Si dice che la riforma non deve diventare scontro tra garantisti e giustizialisti. E invece di fatto lo è. La riforma della giustizia fu quasi un anno fa centrale nel discorso di r-insediamento del Capo dello Stato, dopo lo scandalo Palamara al Csm. E il fatto che il referendum della Lega di Matteo Salvini e i Radicali non ottenne il quorum non può certo rappresentare paradossalmente ora una ragione per dire che non serve la riforma tracciata da Nordio.